(di Francesco Gallo)
(ANSA) - ROMA, 12 OTT - Nonostante "Il Gattopardo" di
Giuseppe Tomasi di Lampedusa sia un classico, il primo
bestseller italiano con 100mila copie vendute il primo anno,
resta un'opera, come d'altronde anche il film di Luchino
Visconti, piena di misteri.
Lo sostengono Alberto Anile e Maria Gabriella Giannice,
giornalisti e storici del cinema, in 'Operazione Gattopardo',
sottotitolo 'Come Visconti trasformò un romanzo di 'destra' in
un successo di 'sinistra'.
Cosa comportò all'aristocratico comunista Visconti fare un
film da un libro considerato sostanzialmente di 'destra'?
"Più che di 'destra' diremmo 'conservatore' - dicono all'ANSA
gli autori -. Ed in questa 'conservazione' delle memorie, i due
aristocratici, il conte Visconti e il principe di Lampedusa, si
ritrovano perfettamente. Per il resto Visconti trovò nel romanzo
una comune visione critica verso il Risorgimento, enfatizzando
in sede di sceneggiatura la lezione gramsciana. Ha poi premuto
in senso negativo sul personaggio di don Calogero e del nipote
Tancredi, per farne dei 'protofascisti'".
Ci furono compromessi, ripensamenti?
"Nessuno in Lampedusa, che aveva scritto il libro che
esattamente voleva scrivere, ma in Visconti sì: il regista aveva
vissuto il lungo dibattito sulla presunta natura di 'destra' di
un romanzo scritto da un aristocratico. Forte della sua
vicinanza ai dirigenti del Pci, Togliatti incluso, Visconti
cercò di dire la sua e provò a modificare la storia del libro,
pescando addirittura da Verga: non ci riuscì e poco a poco tornò
vicino al romanzo, però operando cambiamenti od omissioni che lo
hanno mutato di segno".
Perché poi l'ultimo capitolo del libro è stato ignorato? Ci
furono anche lì motivi ideologici?
"Come dice Hegel, la verità arriva solo alla fine. Questo è
sommamente vero in qualunque opera letteraria, ed è quindi ovvio
che in una trasposizione filmica tagliare il capitolo finale sia
di per sé un profondo tradimento. Nel Gattopardo lo è in modo
particolare, perché in quel capitolo Lampedusa tira le somme
delle scelte fatte da don Fabrizio durante i capitoli
precedenti, dando una lettura del Risorgimento diversa da quella
del film, e denunciando gli esiti del trasformismo, quello della
famosa frase 'Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che
tutto cambi': per Visconti è una colpa di cui i gattopardi non
si pentono, mentre per Lampedusa era una coraggiosa denuncia,
anche di certe ambiguità della propria classe".
Che ne è delle scene tagliate del film "Il Gattopardo" e
perché ci furono quei tagli?
"Perché Visconti volle migliorare il film in vista del Festival
di Cannes, dove infatti ebbe la Palma d'oro. Ma anche perché
alcune scene erano un po' troppo ideologiche. Il film era uscito
nelle sale italiane più lungo di come lo conosciamo; abbiamo
cercato quei dodici minuti in più, e una scena, quella con don
Fabrizio che ha gli incubi a causa della cattiva coscienza,
l'abbiamo ritrovata poco prima della nuova edizione del nostro
libro. Altre scene tagliate erano rimaste in un'edizione
francese. Ma all'appello manca ancora qualcosa".
E infine qual è davvero la distanza, se c'è, tra Tomasi di
Lampedusa e Luchino Visconti?
"I due, come dicevamo, erano accomunati dall'origine
aristocratica, ma mentre il principe siciliano condannava
un'unità mal fatta, e aveva il coraggio di criticare i suoi
antenati, il regista milanese ha finito per rifugiarsi nella
nostalgia. Suonerà paradossale, ma alla fine appare più di
sinistra il romanzo di Lampedusa che il film di Visconti".
(ANSA).
Il Gattopardo, un classico ancora pieno di misteri
Anile e Giannice, libro e film condizionati dalla politica