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Speleologi riuniscono gallerie antico acquedotto Trieste

Tra centro e Carso. Infrastruttura d'epoca teresiana

Redazione Ansa

(di Francesco De Filippo) (ANSA) - TRIESTE, 27 OTT - Col crescere della popolazione, il fabbisogno di acqua potabile per Trieste, unico porto del grande impero d'Austria, si era impennato. L'imperatrice Maria Teresa d'Asburgo (1717-1780) inviò ingegneri e geologi perché cercassero ogni sorgente d'acqua e la incanalassero verso il centro città. Soprattutto dal Carso. Tra strani flussi di fiume, sondaggi, trivellazioni, risorgive i tecnici costruirono infrastrutture con ingegnosità e oculatezza, riuscendo nello scopo. L'acquedotto teresiano, inutilizzato da anni, conosce oggi una nuova vita: sono state riunite le gallerie tra centro e Carso, rendendo praticabile oltre un chilometro di sotterranei.
    Grazie a una squadra di volontari speleologi della Società Adriatica di Speleologia, si può nuovamente percorrere la galleria lunga 400 metri, la Tschebull, dal nome di uno dei progettisti. Disostruiti i cunicoli, è stato messo in sicurezza un tratto di galleria il cui passaggio era impedito da una frana.
    Prima, nel 2018, soltanto per caparbietà e modalità occasionali, poi, al crescere della squadra, con maggiore regolarità, spesso senza poter stare in posizione eretta, con acqua fino alla cintola e più su, e con in basso depositi di fango e argilla simili a sabbie mobili, gli speleologi hanno scavato praticamente a mano e portato in superficie pesanti secchi di detriti accumulatisi nei piccoli tunnel nel sottosuolo di Trieste.
    L'idea è, una volta risistemato, di rendere visitabile l'impianto. Per il momento vi si accede da un inquietante tombino nel quartiere San Giovanni, nella parte alta della città, e ci si cala per nove metri attraverso una scala a pioli e poi una originaria scala in pietra, fino a un pozzo dove ancora oggi in una canaletta scorre acqua pulita che scende dal Carso e, inutilizzata, si perde tra fogne e mare. Il pozzo è solo una stazione tra due gallerie che erano divenute inaccessibili. Gli speleologi della Sas sono riusciti a ricollegarle; si percorrono con tuta, stivali, caschi e luci, in parte faticosamente. Se una galleria è fatta ad arco con mattoncini, quella all'opposto sembra sia stata scavata ieri; il flysch, la roccia su cui posa la città, è nudo, l'acqua gronda dall'alto e le concrezioni molli, i depositi di minerali sembrano ignote forme di vita.
    Qualcosa tra un film horror e uno di fantascienza. Una vita, tuttavia, in quel mondo buio del sottosuolo c'è: fauna cieca e anche minuscoli gamberetti. Lungo questo camminamento che si arriva su, fino al Carso. Potrebbe essere soltanto una prima tappa, non si esclude che ci siano passaggi verso grotte inesplorate. Non a caso, Trieste e il tra Italia e Slovenia è il paradiso degli speleologi.
    Per il presidente della Società Adriatica di Speleologia, Marco Restaino, l'acquedotto "oltre ad essere un laboratorio sotterraneo unico sul territorio per lo studio degli aspetti geologici ed idrologici, va sottolineato che in quell'acqua che ancora scorre sotto i nostri piedi, è scritta la storia della città". (ANSA).
   

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