ROMA - Giove, imponente al centro con il suo scettro. A destra la sposa Giunone e a sinistra Minerva con lancia ed elmo. E poi, proprio di fronte, Iside con la torcia e forse le spighe strette nella mano, Anubi con il corpo di uomo e la testa di sciacallo e, chissà, interpretano gli studiosi tra i colori rubati dal tempo, probabilmente anche Serapide che di Iside è sposo e fratello. "Che i romani li pregassero insieme, con uno spiccato e diffuso sincretismo religioso, era noto. Ma mai avevamo trovato la triade capitolina e quella egizia rappresentati così esplicitamente tutti insieme in un ambiente sacro domestico". A raccontarlo è l'archeologa Mirella Serlorenzi, direttrice delle Terme di Caracalla, che da oggi ospitano un pezzo di quella Roma che proprio lì, a pochi metri, esisteva prima della costruzione dei grandi impianti termali. Una Roma ricca, con le Domus affrescate come a Pompei e in cui si veneravano Dei nostrani ma anche d'oltremare allo stesso tempo. È la Roma della Domus di Vigna Guidi, piccolo ed emblematico gioiello, che dopo decenni torna a mostrarsi con un ampliamento dell'offerta del percorso di visita del sito archeologico (quindi senza biglietto aggiuntivo). "Dopo i mesi bui della pandemia e delle chiusure - spiega la Soprintendente speciale di Roma Daniela Porro - vogliamo riportare alla vivacità le Terme con alcune operazioni culturali importanti, dalle opere di Giuseppe Penone alla ricostruzione di questa domus di età adrianea, quindi del II secolo d.C., che venne interrata proprio per la costruzione delle terme", intorno al 206 d.C. insieme all'intero quartiere adiacente Porta Capena. Chi fosse il proprietario è uno dei misteri ancora insoluti. "Sicuramente un esponente facoltoso, visto l'impiego per le pitture di materiali costosi come il rosso cinabro e il blu egizio - dice la Serlorenzi - E magari, vista la presenza delle divinità, anche legato a scambi con l'Egitto". Riscoperta a metà dell'800 dall'Ispettore onorario Giovan Battista Guidi sul lato sud-est dell'impianto termale, nuovamente interrata e poi riportata alla luce negli anni '70 del secolo scorso, la costruzione è anche una delle rare testimonianze a Roma di una tipologia abitativa sviluppata su due piani, dove la presenza di una bottega accanto al vestibolo e di una scala indipendente fanno ipotizzare una insula con appartamenti ai piani superiori di classe medio alta e una domus signorile al piano terra e primo piano. Studiata, indagata, staccati gli affreschi per metterli in sicurezza, dopo decenni al buio nelle casse dei depositi della Soprintendenza, ora la Domus (o almeno parte dei suoi dipinti) torna a brillare nella ricostruzione di due degli ambienti principali "ad appena 50 metri da dove si trovavano al tempo". Si tratta di un Triclinio sul cui soffitto spicca quello che potrebbe essere un Dioniso dai tratti femminei, ma l'ambiente, dice la Serlorenzi, "è ancora oggetto di studi e ricerche per il suo restauro complessivo". E soprattutto c'è il grande ambiente tutto affrescato, che rivela una prima decorazione, tipica dell'età adrianea, con un ricorrersi di prospettive architettoniche, figure umane, statue e felini rampanti; e una seconda "mano", posteriore di appena cinquant'anni, che al tempo la ricopriva interamente ma oggi è più deteriorata. Un cambio radicale con quelle divinità del pantheon greco-romano ed egizio che trasformavano la stanza in un luogo di culto privato. Cosa accadde nel mezzo? Forse cambiò il proprietario della Domus o forse nacquero nuove esigenze. E chi è realmente il terzo Dio egizio? Sono alcuni dei misteri ancora tutti da risolvere.
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