NEW YORK - Una nuova serie di Gilbert & George attraversa l'Atlantico e sbarca in Florida sulla scia dell'apertura, il primo aprile, del nuovo Centro per le arti fondato a East London dal cinquantennale sodalizio esistenziale e artistico all'insegna del motto Art For All.
Riappropriandosi di iconografie medievali delle vetrate delle cattedrali, le Corpsing Pictures presentate dal 12 aprile da White Cube raffigurano l'altoatesino Gilbert Prousch e il britannico George Passmore, sposati dal 2008 ma insieme da quando nel 1967 si incontrarono alla scuola d'arte St. Martins in the Fields, stesi per terra su cumuli di ossa e piante in decomposizione, addosso i completi impeccabili alla Savile Row, stavolta color rosso fiamma: questi presumibilmente confezionati dagli ultimi di sette sarti di quartiere (East London) impiegati dalla coppia fin dagli esordi. Corpsing, spiega White Cube, evoca l'idea dei cadaveri ma anche, nel termine inglese, quello dell'attore che esce dalla parte, o perché dimentica le battute o perché ride, o ancora perché fa ridere gli altri interpreti. "Opere che possono essere lette come un paradosso o un aforisma in cui la giustapposizione di temi agli antipodi creano livelli di interpretazione che vanno al di là della prima impressione".
Gilbert & George si considerano fin dagli esordi una "living sculpture". Il duo, che ammira Margaret Thatcher e ha un profondo feeling con re Carlo, ha passato gli anni del Covid a Spitalfield: davanti a casa, a Fournier Street alle spalle di Brick Lane, una moschea quotidianamente seppelliva morti a causa della pandemia. La coppia di artisti, quasi coetanei e 160 anni in due, ci abita dagli anni Sessanta, ed è li che il primo aprile, data non certo scelta a casaccio perché in Gran Bretagna il 'Fools' Day' è leggendario per gli scherzi, aprirà il suo Centro, all'interno di un ex edificio industriale di epoca vittoriana riabilitato dallo studio di architettura Sims. La scelta di G&G è controversa: conservatori dai tempi della Thatcher, i due pionieri dell'arte queer contestano ai musei di aver creato un monopolio in cui l'arte di donne o neri gode di un privilegio che si avvicina al monopolio. "La Tate ha 23 dei nostri pezzi che non mostrano mai. Tutti i musei sono 'woke'", aveva argomentato George con il Financial Times, lamentandosi che le loro opere erano state ostracizzate e paragonando la loro condizione all'apartheid in Sudafrica: "Noi eravamo woke prima che esistesse woke".