ROVIGO - Renoir guarda a Rubens, De Chirico guarda a Renoir. Il gioco di tele che abbraccia tre secoli spiega come il maestro francese seppe andare oltre la stagione dell' Impressionismo che lo aveva visto tra i protagonisti.
''Renoir, l' alba di un nuovo classicismo'' si apre con due capolavori impressionisti, Le moulin de la Galette del 1875 e la sinuosa figura Apres le bain del 1878, seguiti dai dipinti degli ''italiens de Paris'' coevi, Boldini, Zandomenighi, De Nittis e due Medardo Rosso. Seguono le due sculture di donna, il bronzo classicheggiante di Aristide Maillol del 1940 accanto alla giovinetta più materica e misteriosa di Marino Marini del 1938 di fronte alla ''Piccola Venere in piedi' del 1913 di Renoir che arriverà nei prossimi giorni. Del viaggio in Italia come spartiacque del ripensamento seguito alla esperienza impressionista spicca La Bagnante Bionda, proveniente dalla Pinacoteaca Agnelli di Torino. ''E' il ritratto di Aline Charigot, la giovane modella che diventerà sua moglie - spiega Bolpagni -. Renoir mise mano a questo dipinto meraviglioso nel 1882 subito dopo il rientro in patria. Ma Annine non è più la ragazza bellissima, diventa una dea Venere con il golfo di Napoli alle sue spalle, uno sguardo italiano che abbiamo voluto sottolineare''. I volti di donna, fa notare il curatore, non esprimono più l' espressione di uno stato d' animo fugace ma l' essenza della bellezza, l' elemento di pura natura.
Un cambiamento dimostrato dall' attenzione al dettaglio e alla forma nei disegni accostati a quelli di Ingres e nelle nature morte per il tentativo di ''mettere la luce nella pittura senza per forza farlo en plein air'', con la luminosa pennellata delle Rose in un vaso (1900) accanto alle Dalie di De Pisis del 1932. Infine, la pagina dei ritratti di Gabrielle, la bambinaia che fino al 1914 rimase in famiglia prendendosi cura di Jean, che sarebbe diventato uno dei grandi registi del Novecento, e il gruppo di dipinti affascinanti di Armando Spadini - da De Chirico definito ''il Renoir d' Italia'' -, Carlo Carrà e Bruno Saetti.
Nella prefazione al trecentesco Libro dell' Arte di Cennino Cennini, Renoir afferma che dalla pittura pompeiana, che tanto lo colpì a Napoli, fino a Corot c' era stata stata una linea di continuità nel tramandarsi tecniche e stili che il positivismo, il razionalismo e la società industriale avevano spezzato e andava riallacciato. ''L'artista - rimarca Bolpagni - parla al di fuori della propria epoca, cerca un legame con la natura e la verità che è al contempo moderno ma fuori dal tempo. Guarda alla tradizione ma resta libero e innovatore. La sua è una pittura di grande solidità che non bada alle mode ma aspira a ciò che non è effimero, alle cose che restano''. La mostra racconta un pittore che rimase giovane fino all' ultimo, costantemente assorbito nella sua ricerca, sempre pronto a cambiare e ad andare avanti nonostante l' artrite reumatoide gli impedisse di tenere in mano il pennello. ''Fleurs'', fiori, pare abbia detto prima di morire. Ma a rappresentarne meglio lo spirito sono quelle ultime sue parole, ''Sto cominciando a capire qualcosa''.
Un altro Renoir, dopo l'Impressionismo una moderna classicità
A Rovigo il viaggio in Italia e i temi del richiamo all'ordine