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La sentenza di Modena sul doppio femminicidio, lo choc è bipartisan

Il Pd: 'La commissione bicamerale acquisisca gli atti'. L'associazione D.i.Re: 'Serve formazione per chi opera con le vittime di violenza'

Redazione Ansa

Non si placano le polemiche e l'indignazione bipartisan per le motivazioni della sentenza con cui la Corte di Assise di Modena ha concesso 30 anni anziché l'ergastolo a Salvatore Montefusco, colpevole del doppio femminicidio della moglie Gabriela Trandafir e della figlia di lei, Renata, riconoscendo nel gesto dell'uomo 'motivi umanamente comprensibili". Sul tema è intervenuta anche la ministra per la Famiglia Eugenia Roccella, parlando di "elementi preoccupanti" che rischierebbero "di aprire un vulnus".

"Una visione distorta della violenza contro le donne ed è quindi preoccupante, perché rischia di costituire un pericoloso precedente. Come gruppo Pd, chiederemo quindi, nel corso del primo ufficio di presidenza utile, che la commissione bicamerale di inchiesta sul femminicidio nonché ogni forma di violenza di genere acquisisca gli atti, per approfondire il caso", dicono le parlamentari del Pd nella commissione bicamerale sul femminicidio: Cecilia D'Elia, Sara Ferrari, Valeria Valente, Antonella Forattini e Valentina Ghio.

    "Al di là della pena comminata - proseguono le parlamentari dem - sono gravi i motivi che hanno portato alla pena. Non è accettabile riconoscere 'motivi umanamente comprensibili' di fronte a due femminicidi. Le sentenze sono importanti perché fanno giurisprudenza. Derubricare la violenza contro le donne e il conseguente femminicidio al conflitto familiare è uno dei sintomi di una lettura non corretta delle dinamiche proprie di un fenomeno che, ricordiamolo, è strutturale e affonda le sue radici nel patriarcato. Nel pieno rispetto della magistratura e del suo operato, ci sembra doveroso chiedere che la commissione bicamerale faccia un approfondimento sul caso, con tutti i poteri che le sono propri".

Insoddisfazione e preoccupazione viene espressa da D.i.Re - Donne in Rete. "È importante premettere che - ricorda D.i.Re - la Cedu (Convenzione Europea per i Diritti dell'Uomo) ha condannato l'Italia per la resistenza di stereotipi e pregiudizi di stampo sessista e per un linguaggio che non ha riconosciuto i diritti delle donne e ha rappresentato le relazioni tra uomini e donne secondo schemi che dovrebbero essere superati. Sono proprio questi gli aspetti che ritroviamo nelle motivazioni della sentenza di Modena e si può verificare, in diversi passaggi: la sentenza adotta completamente il punto di vista del femminicida, lo comprende, lo asseconda, mentre manca la lettura dell'asimmetria di potere, ponendo sullo stesso livello la vita delle donne e gli interessi economici dell'autore di violenza: Gabriella Trafandir e Renata Trafandir dipendevano economicamente dall'uomo che le ha uccise che ha utilizzato quella dipendenza in un una logica ritorsiva e ricattatoria".

"Colpisce che - prosegue D.i.Re - si spendano le stesse parole usate dall'imputato. Non solo Gabriella Trafandir e Renata Trafandir vengono definite 'donne' e il loro nome scompare, ma a loro viene riferito lo status di 'mantenute'. Anche la paura delle due donne viene negata e banalizzata: nella sentenza di parla di vaghe minacce senza considerare che il 'brav'uomo' possedesse numerose armi. È preoccupante che, in un passaggio, la corte rilevi che Gabriella Trafandir fosse talmente libera da poter uscire la sera senza dare spiegazioni al punto che Montefusco aveva dovuto mettere un rilevatore Gps per sapere dove lei andasse".

"Rappresenta - afferma Antonella Veltri, presidente D.i.Re - la cultura patriarcale che conosciamo bene anche nelle aule dei tribunali. Ancora si fa volutamente confusione tra conflitto e violenza facendo arretrare il percorso per l'eliminazione della violenza maschile alle donne. Lo ripetiamo per l'ennesima volta: chi opera a qualsiasi livello con le donne vittime di violenza e maltrattamento deve essere specificamente formato, altrimenti continueremo a leggere notizie irricevibili".

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