I pazienti trattati per Covid-19 hanno un aumentato rischio di aritmie e sono sottoposti a terapie preventive per il rischio trombotico con farmaci che a loro volta presentano dei rischi per il cuore. Lo afferma un nuovo studio pubblicato sulla rivista internazionale Circulation (Aha Journals) e condotto in Italia, dal dottor Saverio Iacopino, coordinatore di Aritmologia del Maria Cecilia Hospital di Cotignola (Ravenna).
Lo studio, condotto sui pazienti Covid ricoverati nell'ospedale romagnolo tra il primo e il 26 di aprile, si è concentrato sull'incidenza di problematiche del ritmo cardiaco legate all'assunzione di terapie o come conseguenza diretta del Sars-Cov2. I pazienti - spiega il ricercatore - mostrano un aumentato rischio di aritmie e anche farmaci usati, come azitromicina o idrossiclorochina, possono allungare il tempo di recupero dei ventricoli del cuore tra una prima contrazione e la successiva. Un parametro, quest'ultimo, che si indica come QT.
"I pazienti con infezione da Covid-19 hanno mostrato un prolungamento dell'intervallo QT nel 17% dei casi, senza evidenza di aritmie maligne. In oltre il 40% dei degenti abbiamo registrato una maggiore incidenza di fibrillazione atriale di nuova insorgenza, considerato un indicatore di rischio per ictus, ma anche un marker dell'infiammazione nel muscolo cardiaco, mentre è stata documentata una bassa incidenza di aritmie ventricolari non sostenute e bradicardie sintomatiche". Nessuno dei pazienti, a distanza di 6 mesi, ha riscontrato una necessità di intervento. Alcuni sono però tuttora seguiti attraverso un registratore impiantato sottopelle che consente di verificare se l'aritmia era una problematica momentanea.
Lo studio pone le basi per approfondimenti futuri. "Mancano ancora degli studi che ci diano indicazioni precise sull'eredità del Covid-19 sulla nostra salute - sottolinea Iacopino - Le ulteriori indagini in corso sui pazienti ci permetteranno di capire se la patologia Covid-19 presenterà manifestazioni aritmiche a distanza".
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