Dagli scarti dei vigneti all'automotive, passando per la stampa 3D. È un passaggio che può suonare visionario ma che si può già toccare con mano grazie a un progetto di ricerca europeo che tra i suoi protagonisti ha il gruppo Caviro - la cooperativa agricola che imbottiglia, fra gli altri, il Tavernello - e l'Università di Bologna. Tutti conoscono la cooperativa come il più grande vigneto e la più grande cantina d'Italia ma pochi sanno che Caviro è anche un esempio plastico di economia circolare. Della vigna del resto non si butta via niente, tanto che tutte le attività di valorizzazione degli scarti sono affidate a una società ad hoc, Caviro Extra, che conta per un terzo del fatturato del gruppo.
Parallelamente alle attività di recupero e valorizzazione degli scarti vitivinicoli - con cui si ottengono prodotti nobili - dai fanghi di depurazione si sta mettendo a punto un sistema per la produzione di bioplastiche. A settembre scorso è stato messo in esercizio nel sito Caviro Extra di Faenza (Ravenna) il primo impianto prototipale Bplas-demo, progetto finanziato da Climate Kic con il coordinamento dell'Università di Bologna, per la produzione di un polimero che sarà testato all'interno di un altro progetto europeo per la produzione di packaging biodegradabile.
Oltre a vino, mosti, aceti, che sono i prodotti più comuni che si associano alla produzione vitivinicola c'è molto di più. Dai derivati di filiera (vinaccia, vinaccioli, feccia) si ottengono altri prodotti cosiddetti nobili, cioè nuove materie prime come alcoli, enocianina, polifenoli, acido tartarico, che hanno un alto valore aggiunto per altre industrie, ad esempio quella farmaceutica o quella alimentare. Resta ancora moltissimo materiale organico "esausto": sono gli scarti vegetali che vengono "digeriti" da appositi impianti per produrre energia elettrica e termica. Grazie a questa fonte rinnovabile il gruppo Caviro è autosufficiente dal punto di vista energetico e riversa nelle reti nazionali l'energia in eccesso. I digestori restituiscono ancora qualcosa, "fanghi", prodotti totalmente esausti perfetti come base per creare dei compost. Con l'aggiunta di sfalci di potatura si ottiene un fertilizzante. Caviro riesce a recuperare il 99,3% di tutto ciò che entra nei suoi stabilimenti. Tutto torna alla vigna insomma.
Tuttavia anche se il circolo è "chiuso", l'obiettivo è quello di innovare ancora. Di recuperare e reimpiegare anche quello 0,7% mancante. Per questo il gruppo ha all'attivo numerosi progetti di ricerca, in collaborazione con enti e atenei. Uno è appunto quello sulle bioplastiche. Parte dei fanghi di risulta degli impianti per le bioenergie, vengono "digeriti" ancora da nuovi enzimi che l'Università di Bologna sta sperimentando. Da questo processo si ottengono filamenti sottilissimi che possono, tra le ipotesi, diventare materiale per le stampanti 3D. "Ad oggi non c'è un ritorno economico per questa nuova industria ma se continuiamo a lavorarci qualcuno troverà il modo per ottenere bioplastica dagli scarti in modo economico", spiega SimonPietro Felice, direttore generale di Caviro. "Oggi quel poco di filamenti che riusciamo a ottenere lo usiamo per legare fili di vite alle travi. Il valore economico è pari a zero. Ma si potrebbero costruire materiali sempre più resistenti e a quel punto l'automotive potrebbe prenderli in considerazione".
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