La Jihad, la guerra santa contro gli infedeli "da sgozzare", la necessità di raddrizzare i piccoli musulmani che crescono in Paesi di "miscredenti", come l'Italia: una missione totalizzante, abbracciata in modo cieco, senza se e senza ma, pur con qualche timore ma comunque nella consapevolezza di non poter più star fermi davanti alle ingiustizie subite dai fedeli, come il popolo palestinese di Gaza.
C'è questo, ma non solo, nelle conversazioni tra le due ragazze che coordinavano il gruppo di cinque ragazzi under 30 dedito al proselitismo e alla propaganda pro Stato islamico, sgominato dal Ros dei carabinieri alla vigilia di Natale dopo un'indagine della Procura di Bologna coordinata dalla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo.
Cinque gli indagati, di cui quattro sono finiti in carcere. Tutti giovani under 30. La novella "influencer" pro Jihad, leader del gruppo, è una ragazza di 22 anni, pachistana, residente a Bologna. Con lei il 24 dicembre sono finiti in cella anche suo fratello, 19enne nato a Bologna e da lei indottrinato in pochi mesi, una ragazza di appena 18anni nata a Spoleto, di famiglia algerina, un ragazzo più grande, 27 anni, definito il "bro turco", che viveva a Monfalcone (Gorizia).
Risulta latitante il quinto indagato, un 20enne di origine marocchina residente a Milano, "arruolatosi" in Etiopia a novembre, destinatario della misura cautelare. Sono accusati a vario titolo di aver costituito o fatto parte di un gruppo terroristico di ispirazione salafita chiamato "Da'wa Italia" (Chiamata Italia, ndr) con missione il proselitismo, la propaganda ma anche il finanziamento e il reclutamento di combattenti sul campo.
Un'attività condotta prevalentemente online, su social come Tiktok, Instagram, X, con decine di profili attivi con post, storie e altri contenuti in italiano ma non solo. Per le due ragazze l'indottrinamento iniziava tra le mura di casa, famiglie di origine straniera ma che risultano bene integrate nella cultura occidentale, in contesti non disagiati, e che per questo loro stesse disprezzavano apertamente. La 22enne di Bologna è riuscita in pochi mesi a trascinare nel suo estremismo il fratello 19enne, che su TikTok aveva anche cominciato a vantarsi della trasformazione con video che lo mostravano "prima", in abiti e costumi occidentali, e "dopo", con barba lunga e vestiti tradizionali musulmani. Per il ragazzo l'autorità giudiziaria contesta in particolare l'ipotesi dell'addestramento finalizzato a un possibile arruolamento in organizzazioni jihadiste.
La stessa sorella sembrava pronta al passo successivo, ovvero stringere legami con milizie armate 'reali'. Lo dimostrerebbe il viaggio in Pakistan, suo paese natale, interrotto bruscamente nemmeno due settimane prima dell'arresto a Bologna. Con la "sorella" di Spoleto sognavano di vivere nello Shaam, Paesi come Siria e Palestina. Dalle conversazioni tra le due emerge dagli atti l'ossessione per la divulgazione in italiano di concetti ispirati alla Jihad e per un incessante proselitismo. Avevano fatto tradurre un libro per bambini, il "giovane musulmano", in italiano e in inglese, declinandolo in una accezione violenta. Per gli inquirenti anche per gli altri componenti della banda si profilava un rischio altissimo di "fuga".
Il 20enne residente a Milano del resto risulta già irreperibile, partito a fine novembre per l'Etiopia. La 18enne di Spoleto aveva mostrato interesse per raggiungere Paesi africani. Il "bro turco", che a Monfalcone gestiva due negozi di kebab d'asporto e voleva aprire una moschea in città, aveva sulle spalle una condanna in Turchia per finanziamenti terroristici. "Arriverà il nostro momento", si scrivevano le due ragazze. Si erano radicalizzate online, seguendo a loro volta profili social estremisti, in particolare durante il periodo di isolamento del Covid. Le famiglie per lo più ignare nonostante i segnali di trasformazione dei figli - nell'aspetto fisico, nel vestirsi - fossero palesi. Domani la 22enne e il fratello 19enne compariranno davanti al gip Andrea Salvatore Romito del tribunale di Bologna per l'interrogatorio di garanzia. La ragazza è difesa dall'avvocato Simone Romano.
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