BRUXELLES - La dignità del lavoro può dirsi "tutelata". L'Europa tiene fede a una delle promesse di inizio mandato e, con un accordo trovato nel cuore della notte a Strasburgo, concretizza uno dei suoi diritti sociali più importanti: salari minimi 'equi e adeguati' per tutti i lavoratori nel Continente. E lo fa in un momento in cui, complice l'inflazione su cui soffia la guerra in Ucraina, la questione busta paga è esplosa quasi ovunque. A partire dall'Italia, tra i soli sei Paesi europei a non avere una regolamentazione che fissa un minimo retributivo legale e dove ormai da giorni il dibattito (con tanto di testo fermo al Senato) è infuocato e spacca la maggioranza di governo.
L'intesa politica - raggiunta dopo una maratona negoziale di sette ore tra la Commissione, il Parlamento Ue e i Paesi membri, da formalizzare il 16 giugno - manda "un messaggio forte e chiaro ai cittadini europei: nessuno dovrebbe trovarsi in povertà mentre lavora", ha scandito trionfante il commissario europeo per il Lavoro, Nicolas Schmit, di impronta socialista, impegnato da mesi a guidare la direttiva. Il dogma che ne deriva, ha assicurato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, è che la dignità del lavoro sarà tutelata con compensi adeguati e il lavoro tornerà a pagare.
Il testo, nel concreto, fissa i criteri per minimi sopra la soglia della sopravvivenza, tenendo conto tra l'altro del costo della vita e del potere d'acquisto. Questo attraverso un salario minimo fissato per legge oppure l'estensione della copertura della contrattazione collettiva, che dovrà arrivare all'80% anche, se necessario, tramite un piano di azione sotto il monitoraggio dell'Ue. Due strade alternative che, a cascata, dovrebbero ridurre le disuguaglianze e mettere un freno ai contratti precari e pirata. Nessun obbligo, dunque. Piuttosto, ha evidenziato il commissario europeo per l'Economia, Paolo Gentiloni, "Un'occasione. Per proteggere il lavoro povero, non certo per indebolire la contrattazione collettiva".
A decidere la via da percorrere sono i governi nazionali. Compresi quelli, come l'Italia e i nordici, che hanno una copertura di contrattazione collettiva elevata ma non hanno un salario minimo per legge. Per Roma la cornice europea rappresenta "un contributo al dibattito", ha sottolineato Schmit, sgomberando il campo da ogni possibile fraintendimento: "Non imporremo un salario minimo all'Italia, non è questo il punto". Il punto è, piuttosto, tutelare chi oggi non lo è. Perché anche nei Paesi in cui la contrattazione tra le parti è già estesa come nel nostro, ci sono intere fasce di lavoratori - come quei 5 milioni di dipendenti italiani dichiarati dall'Inps che guadagnano meno di mille euro al mese e quei 4,5 milioni che vengono pagati meno di 9 euro lordi all'ora - che non percepiscono quel minimo effettivo 'adeguato ed equo'. Davanti a questa urgenza, ha sottolineato Schmit, "sono molto fiducioso che alla fine il governo italiano e le parti sociali raggiungeranno un buon accordo per rafforzare la contrattazione collettiva" e "alla fine arriveranno alla conclusione che potrebbe essere importante introdurre il sistema salariale minimo". Ma a loro piena discrezione, così come per Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia, ancora sprovvisti di un livello retributivo base legale.
Nel resto d'Europa, i salari minimi dovranno adeguarsi ai valori indicativi usati a livello internazionale: il 60% del salario lordo mediano e il 50% del salario lordo medio, con un aggiornamento automatico ogni due anni. Un modo per migliorare la convergenza di salario nell'Unione, dove il 'minimum wage' viaggia tra i 332 euro mensili della Bulgaria e i 2.257 euro del Lussemburgo, non superando la quota dei mille euro in 13 Paesi (Est, Baltici, Grecia, Portogallo) e restando fra mille e 1.500 in due (Slovenia e Spagna). In attesa che a settembre Bruxelles compia un altro passo per l'Europa sociale con la sua raccomandazione per il reddito minimo.
Intanto nel trilogo tra Parlamento, Consiglio e Commissione Ue è stata trovata un'intesa anche sulla nuova direttiva 'Women on Boards" sull'equilibrio di genere. Il testo stabilisce delle quote rosa nei Cda delle aziende europee e mira a introdurre procedure di assunzione trasparenti nelle aziende dell'Ue e in modo che almeno il 40% dei posti di ai vertici esecutivo siano occupati da donne.
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