BRUXELLES - Avanzano a stento gli sforzi diplomatici per ricomporre il puzzle del nord del Kosovo andato in frantumi alla fine del mese scorso, quando il Paese è precipitato in una delle più gravi crisi del dopoguerra. La sola cosa su cui i leader di Serbia e Kosovo hanno convenuto durante la riunione di emergenza convocata a Bruxelles, è stato lo svolgimento di elezioni anticipate nelle quattro municipalità del nord del Kosovo, a maggioranza serba, da cui è partita la scintilla che ha fatto divampare l'incendio.
"Qui è il cuore del problema e il cuore della soluzione" ha spiegato l'alto rappresentante Ue, Josep Borrell, al termine degli incontri, ribadendo la necessità di una "piena partecipazione" dei serbi del Kosovo al processo elettorale. Sono state discusse le modalità con cui indire nuove elezioni, ha aggiunto, ammettendo tuttavia che "non siamo ancora a quel punto". Siderale la distanza tra il presidente serbo, Aleksandar Vucic, e il premier del Kosovo, Albin Kurti, che hanno persino rifiutato di parlarsi a quattr'occhi. "Il dialogo è importante per il superamento dei problemi, ma al momento non vedo alcun motivo di parlare con Kurti" ha detto Vucic al termine della riunione, bollando come senza senso i colloqui con il premier kosovaro.
"È andato tutto troppo oltre" è stato il bilancio negativo sulla crisi tracciato da Vucic, che ha detto di non poter confermare che "ci siano delle linee guida" verso una de-escalation. La crisi era scoppiata con l'insediamento in tre comuni a maggioranza serba nel nord del Kosovo - Leposavic, Zubin Potok e Zvecan - di sindaci di etnia albanese e di un sindaco di etnia bosniaca a Mitrovica nord, espressione di un voto boicottato dalla popolazione serba. L'escalation, culminata negli scontri di Zvecan con il ferimento di 30 soldati Kfor, era rimasta in stand by per dar tempo alla diplomazia di trovare una soluzione per superare lo stallo e ritornare al dialogo e in particolare all'attuazione dell'intesa raggiunta nella cittadina macedone di Ohrid il 19 marzo per normalizzare le relazioni tra i due Paesi.
Alla tregua però è seguita una nuova tempesta, con l'arresto - per Pristina un sequestro compiuto sul proprio territorio - di tre agenti di polizia del Kosovo da parte delle forze di sicurezza serbe. A questo proposito Borrell ha chiesto "il rilascio immediato e senza condizioni" dei tre agenti, sottolineando come "l'arresto arbitrario e ingiusto o il maltrattamento dei prigionieri" sia "del tutto inaccettabile". "Abbiamo identificato possibili vie da seguire, ma entrambe le parti devono rispettare i loro obblighi" è stata l'amara conclusione di Borrell. La prospettiva di una de-escalation immediata sembra ancora molto lontana.
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