ROMA - Non tutti i deficit sono uguali per l'Europa. Il dibattito politico italiano si è incentrato sul deficit nominale del Paese, quello che - secondo le regole dettate dall'accordo originario di Maastricht - non dovrebbe sforare il 3%. Ma le regole europee, pur mantenendo questo caposaldo, si sono implementate nel corso del tempo e ora impongono ai Paesi di guardare con maggiore attenzione al cosiddetto "deficit strutturale" prevedendo una riduzione progressiva che consenta di raggiungere, con questo aggregato, il "pareggio di bilancio", cioè la parità tra entrate ed uscite.
La differenza tra queste due voci di bilancio può essere spiegata dal fatto che il deficit nominale misura la differenza tra le entrate e le uscite di uno Stato - cioè tra il gettito e la spesa pubblica per il funzionamento dello stato e per il costo degli interessi sul debito - mentre il deficit strutturale non considera le misure temporanee, come il condono, e corregge l'impatto dovuto agli effetti del ciclo economico. In pratica il "deficit strutturale" misura con maggiore precisione il miglioramento reale - quindi di 'struttura' in base ai fondamentali- dei conti pubblici.
L'attenzione del confronto politico italiano si è concentrata sul deficit nominale, che la nota di aggiornamento del Def prevede per il 2019 al 2,4%, contro l'1,8% stimato per quest'anno. L'Europa, tra le cose richieste nella lettera consegnata dal commissario Moscovici, punta invece l'indice sul deficit strutturale che l'Italia doveva far calare dallo 0,9% di quest'anno allo 0,4% del prossimo anno per poi raggiungere il pareggio di bilancio nel 2020. Ora invece, rispetto a questo programma, si fissa un peggioramento di 0,8 punti percentuali, che porterà il deficit strutturale all'1,7% del Pil nel 2019 e nei prossimi due anni, allontanando sine die la data per il pareggio di bilancio.
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