Bruxelles – Superati i primi ostacoli, e nonostante i nodi che persistono, si fa strada nell’Unione europea l’idea di un pass verde Covid per salvare le vacanze estive, soprattutto dei Paesi ad alta vocazione turistica. Una soluzione a 27 per evitare che le Big Tech riempiano il vuoto facendo da sole e scongiurare il rischio di mosse unilaterali delle cancellerie che frammenterebbero il panorama, complicando anche di più la vita degli europei in viaggio. La base di lavoro continua ad essere il certificato vaccinale digitale interoperabile, da sviluppare al livello tecnico entro i prossimi tre mesi, sotto la guida del commissario europeo Didier Reynders. Da un punto di vista tecnico, l’intenzione è creare un database per la registrazione delle vaccinazioni e un codice QR personalizzato da custodire sul telefono cellulare che sia riconosciuto in tutti gli Stati membri. Il documento – ha evidenziato la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen – dovrà contenere informazioni semplici e rilevanti, come l’avvenuta vaccinazione, la negatività ad un test Pcr o l’immunità al Covid-19 acquisita contraendo la malattia.
In parallelo, la presidenza di turno portoghese porterà avanti la discussione tra gli ambasciatori al Coreper, cercando di sciogliere le riserve e trovare la quadra. A seconda del grado di maturazione, il dossier potrebbe essere ripreso al prossimo vertice di marzo, stando alle indicazioni del presidente del Consiglio Charles Michel. Il premier greco Kyriakos Mitsotakis, padre dell’iniziativa, ha sollecitato a fare in fretta per evitare che i giganti tecnologici possano muoversi in solitario. Nella sua ipotesi il pass verde Covid è una corsia veloce, sull’esempio delle ‘green lanes’ create per permettere la libera circolazione delle merci nel mercato unico ai tempi della pandemia. A sostegno del progetto si sono schierati almeno una dozzina di capi di Stato e di governo, tra questi l’austriaco Sebastian Kurz, che ha invitato a seguire il modello Israele, avvertendo che Vienna è pronta ad “andare avanti da sola”. Lo spagnolo Pedro Sanchez ha difeso lo strumento come “valido e utile”, mettendo in guardia rispetto al rischio che “ciascun Paese possa elaborare una formula nazionale”. Tra i leader che continuano invece a nutrire riserve il francese Emmanuel Macron, che ha ribadito preoccupazioni sul pericolo di discriminazioni e timori su possibili violazioni della privacy, gli stessi argomenti usati dall’olandese Mark Rutte e dal belga Alexander De Croo per frenare. Anche la tedesca Angela Merkel, sebbene più aperturista rispetto al passato, si è mostrata cauta, evidenziando che con una percentuale così bassa di persone immunizzate, per il momento il dibattito rischia di sembrare “surreale”.
Intanto Michel immagina il rilancio di una collaborazione Ue-Usa anche sulle catene di approvvigionamento per le componenti dei vaccini, sulla scia del lavoro condotto della task force guidata dal commissario europeo, Thierry Breton. Perché se tutto andrà bene l’Europa potrebbe diventare presto il primo produttore di sieri al mondo, con la manifattura di 3,5 miliardi di dosi l’anno. Un lavoro, anche questo, che però resta ancora da sviluppare.
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