(di Michele Esposito)
(ANSA) - BRUXELLES, 11 SET - Come spesso accade, ai giorni
del grande scontro è subentrata l'ora della trattativa
silenziosa, discreta. E forse decisiva.
Finora l'ex ministra tedesca non ha sbagliato un colpo,
uscendo dal catino dell'Eurocamera di Strasburgo a luglio con
una maggioranza più ampia di quella del 2019, ma con il voto
contrario di Giorgia Meloni al Consiglio europeo e poi di Fdi in
Parlamento. Una mossa che ha complicato la strategia del Ppe di
avvicinare i conservatori alla maggioranza. D'altra parte - e
questa è la convinzione dei vertici popolari, Ursula inclusa -
non dare all'Italia il giusto peso significherebbe relegarla in
posizione di semi-isolamento, che danneggerebbe la stessa
macchina dell'esecutivo Ue. Da qui la scelta di concedere a
Fitto il ruolo di vicepresidente esecutivo. Al pari del liberale
Thierry Breton, del popolare Valdis Dombrovskis e della
socialista Teresa Ribera.
Von der Leyen, nei suoi incontri, ha sempre affermato di
voler seguire il criterio dell'equilibrio: geografico, di genere
e di affiliazione politica. E' il primo, nel caso di Fitto, ad
aver dettato la scelta della presidente laddove S&D, Renew e
Greens puntano sul terzo proprio per bocciare un esponente di un
partito che, da quelle parti, è considerato di estrema destra
anti-Ue. Per tenere il punto von der Leyen ha due strade:
limitare le deleghe che fanno capo direttamente al ministro
italiano, assegnando altrove quella agli Affari economici; o
venire incontro alle richieste socialiste convincendo i
lussemburghesi a cambiare il proprio candidato - il popolare
Christophe Hansen con Nicolas Schmit, commissario uscente e
Spiztenkandidat del Pse alle Europee. "Stiamo negoziando,
vedremo. Abbiamo delle richieste che vogliamo siano ascoltate.
E' una questione generale non un problema di singoli temi", ha
spiegato la presidente del gruppo S&D Iratxe Gracia Perez.
Da qui ai prossimi giorni la presidente della Commissione
tornerà a vedere i gruppi della maggioranza. Martedì sera,
assieme ai commissari popolari, ha fatto invece il punto con il
Ppe. Nel gruppo di Manfred Weber la difesa di Fitto è ferrea
sebbene, viene riferito da fonti parlamentari, cominci a
serpeggiare il timore di fare eccessive concessioni ai
socialisti. "Per il Ppe l'Italia deve essere ben rappresentata
nella prossima Commissione. L'Europa deve rispettare i risultati
ottenuti dal governo italiano su molte questioni europee", ha
tuttavia ammonito Weber. Tra gli eurodeputati italiani, finora,
ad aver annunciato il proprio no a Fitto sono invece i Verdi -
per bocca del portavoce nazionale Angelo Bonelli - e il M5s.
"Nel 2019 Fdi non ha votato Paolo Gentiloni perché non ci fu
votazione facendo prevalere l'interesse nazionale", ha attaccato
Gaetano Pedullà ricordando che Meloni "definì un inciucio" la
nomina dell'ex premier. Fonti di Ecr, tuttavia, hanno respinto
l'accusa: "Nella riunione dei coordinatori della commissione
Econ del Pe il voto ci fu, e il rappresentante dei conservatori,
Van Overtveldt, si espresse a favore dopo aver sentito il parere
proprio di Fitto", viene spiegato.
La lista dei commissari è un cantiere semi aperto. Le vice
presidenze esecutive dovrebbero essere sei. I greci (che hanno
un peso nel Ppe) e i cechi (per la riconosciuta stima a
Bruxelles del loro candidato, Jozef Sikela) puntano a deleghe
forti, così come polacchi, olandesi e austriaci. Per tutti ci
sarà la prova delle commissioni parlamentari. Non è detto che
all'audizione segua una votazione. Ma per respingerne la
richiesta, al Ppe, potrebbe servire lo scomodo aiuto di gruppi
come quello dei Patrioti. (ANSA).
>>>ANSA/ Ursula prova a mediare su Fitto, il Ppe fa quadrato
Si tratta sulle deleghe. La carta Schmit per il voto socialista