BRUXELLES - La salva di domande, il timore di inciampare in qualche gaffe, ma anche la sensazione che la partita, alla fine, si risolva in un gigantesco patto di non belligeranza. Dopo giorni di attesa, all'Eurocamera hanno avuto inizio le audizioni dei 26 candidati commissari del futuro esecutivo a guida Ursula von der Leyen.
Il ciclo di esami è partito con lo slovacco Maros Sefcovic, futuro titolare di commercio e sicurezza economica, e il maltese Glen Micallef, al quale sarà affidata la delega a cultura, giovani e sport. La data da cerchiare con il rosso è però quella del 12 novembre, quando ad essere auditi saranno i sei candidati alla vicepresidenza esecutiva. Gli occhi sono tutti puntati su Raffaele Fitto e sui malumori dei partiti europeisti. Dal Ppe, tuttavia, è partito un chiaro messaggio a Socialisti, Verdi e Liberali: far saltare l'italiano significherebbe innescare una 'guerra' di voti dall'epilogo imprevedibile. E' infatti sul meccanismo di voto che si basa il delicato equilibrio tra le forze in campo. Il candidato passa se a promuoverlo sono almeno i 2/3 dei membri della (o delle) commissione parlamentare competente. A votare fisicamente, almeno per i primi due scrutini, non sono i singoli eurodeputati bensì i coordinatori di ciascun gruppo rappresentato all'interno della commissione titolare della votazione. Con una conseguenza: in buona parte dei casi, affinché un commissario designato passi l'esame, la maggioranza Ursula non basta.
Se a Fitto venisse a mancare l'appoggio dei Socialisti, ad esempio, la rappresaglia sulla spagnola Teresa Ribera sarebbe automatica. E, in questo caso, non verrebbe solo dai Conservatori ma dallo stesso Ppe. Tutto ciò non vuol dire che i giochi siano chiusi. I Liberali, in una lettera indirizzata a von der Leyen, hanno avvertito nei giorni scorsi che nessun tradimento della maggioranza europeista sarà tollerato. I Verdi hanno sottolineato che le loro riserve si concentrano su Fitto e sull'ungherese Oliver Varhelyi. I Socialisti da settimane denunciano una strategia dei due forni che avrebbe messo in campo il leader del Ppe Manfred Weber, con l'obiettivo di fare asse con i sovranisti (Patrioti in primis) quando serve. Per tutti e tre i gruppi i margini di manovra sono tuttavia stretti. Il Ppe, pur ribadendo loro che la stella polare resta e resterà la maggioranza Ursula, non ha nascosto un dato: a vincere le elezioni sono stati i Popolari e l'obiettivo, per il gruppo di centrodestra, è portare avanti quanto promesso agli elettori.
Su Fitto, inoltre, la trincea di Weber è ferrea: il suo profilo è ritenuto competente e affidabile, il ruolo di vice presidente esecutivo premia un Paese fondatore come l'Italia e non è negoziabile. D'altro canto il Ppe ha scelto per ora di tendere la mano ai Socialisti, adottando la linea soft su uno dei candidati considerati più deboli, il socialista maltese Micallef. Il più giovane dei commissari designati è passato senza patemi (con il sostegno anche di The Left) assieme a Sefcovic, che aveva dalla sua comunque il profilo dell'uscente. Agli esami dei due hanno fatto seguito quello del lussemburghese Christophe Hansen (futuro commissario all'Agricoltura) e del greco Apostolos Tzitzikostas (con delega ai Trasporti) entrambi popolari. Gli eurodeputati hanno giocato di fioretto in attesa dei prossimi esaminandi. Già martedì, con i candidati a energia, ambiente e migrazione (rispettivamente Dan Jorgensen, Jessica Roswall e Magnus Brunner) sulla graticola, l'esito dell'esame sarà meno scontato.
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