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L'Ue serra i ranghi. Il giubilo di Orban e sovranisti

Voto Usa al summit di Budapest. La Nato: "Ora l'Europa faccia di più"

Redazione Ansa

BRUXELLES - Eccolo, il peggiore degli incubi, materializzarsi poco dopo le sette della mattina di un cupo mercoledì: l'Europa dopo i 4 anni dell'era Biden si ritrova al punto di partenza, o forse peggio. Si ritrova con un Donald Trump che non ha risparmiato i suoi strali contro Bruxelles nella sua campagna elettorale e che, a gennaio, arriverà alla Casa Bianca mentre l'Ue cerca ancora il bandolo nella matassa nella gara per la competitività globale. Il ritorno di Trump si configura come un terremoto. Dal sostegno all'Ucraina e alla Nato alla strategia del de-risking con la Cina, fino ai partenariati commerciali e tecnologici che con i Democratici al potere erano ripresi a marciare: tutto, ora, potrebbe cambiare. Per i leader europei, oltre al danno c'è la beffa.

Giovedì e venerdì ad attenderli, alla Puskas Arena di Budapest, c'è il più stretto alleato di Trump in Ue: Viktor Orban. L'esultanza del premier magiaro e di tutto il sovranismo europeo è stata totale. "Una vittoria necessaria al mondo", ha twittato Orban mentre Trump non aveva ancora finito il suo primo discorso da presidente eletto in Florida. Ma a celebrare The Donald sono stati tutti i Patrioti per l'Europa: da Matteo Salvini all'olandese Geert Wilders, fino a Marine Le Pen, che ha parlato di "nuova era politica". Al Parlamento europeo qualcuno ha persino indossato il simbolico cappellino con la scritta 'Maga', mentre le audizioni dei commissari in pectore, seppur con meno serenità rispetto ai primi candidati, sono proseguite senza scossoni.

Da tutte le cancellerie europee, nel giro di una manciata di ore, sono arrivate puntuali le congratulazioni per il nuovo alleato americano nel segno della "storica" amicizia transatlantica. Emmanuel Macron si è detto pronto a lavorare con Trump "con rispetto e ambizione". Ursula von der Leyen, in un nuovo scatto della sua Realpolitik, si è congratulata "vivamente" per la vittoria del repubblicano invitandolo a lavorare "a un'agenda transatlantica forte". Donald Trump sarà il convitato di pietra del duplice vertice che avrà luogo a Budapest: prima la riunione della Comunità Politica europea, poi il Consiglio europeo informale tutto incentrato sui report di Mario Draghi, che illustrerà il suo lavoro.

In mezzo, la cena dei leader tutta incentrata sugli effetti dell'uragano Trump. Giorgia Meloni, nonostante l'influenza, ci sarà. E tra le mura neogotiche del Parlamento ungherese che ospita la cena sarà chiamata a destreggiarsi tra l'asse franco-tedesco e chi, come l'amico Orban, ha preparato tutto per accogliere nella 'tana del lupo' i suoi avversari europeisti. Su un punto Orban sembra essersi fermato: far collegare Trump alla cena. Del resto, l'Ue ferita è pronta a riorganizzarsi. Subito dopo la consacrazione di Trump, Emmanuel Macron e Olaf Scholz hanno parlato di uno "stretto coordinamento" e di un lavoro per "un'Europa forte e coesa".

Il ritorno di Trump cambia le carte in tavola anche all'Eurocamera, con il Partito popolare europeo che ha meno margini di manovra per eventuali maggioranze con chi, come i sovranisti, hanno in uno come Trump il loro riferimento. Non a caso ai festeggiamenti dei Patrioti ha fatto seguito una certa freddezza dei Popolari e una misurata soddisfazione di chi, come Fdi, a Bruxelles vuole fare da raccordo tra i filo-Ue e le destre estreme. "È un giorno buio, ha vinto un progetto xenofobo e autoritario", è stata invece la trincea issata dai Socialisti.

Sempre a Bruxelles, questa volta sul lato Nato, il ritorno di Trump è stato accolto in un mix di sano realismo e ansia da panico. Il rapporto del tycoon con l'Alleanza durante il suo primo mandato è stato a dir poco burrascoso ma, viene spiegato, "le aspettative questa volte sono gestite meglio". Sul fronte ucraino, all'Alleanza Atlantica stemperano il pessimismo osservando come "Trump non ami perdere". Mark Rutte è stato il primo leader dopo Orban a congratularsi con Trump. Non è un caso. La Nato è pronta a tendere la mano al tycoon, convinta che l'Ue debba fare di più. Ora però, viene sottolineato, non si tratta più di un'ipotesi, "ma di un'assioma".

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