BRUXELLES - Data da cerchiare in rosso: 20 novembre. Obiettivo prioritario: arrivarci con Ursula von der Leyen ancora in sella. La clamorosa rottura sulle nomine Ue ha travolto la Commissione, facendo precipitare il timing per l'incoronazione del nuovo esecutivo comunitario in una nube di profonda incertezza. Con il passare delle ore i duellanti, popolari e socialisti, non sono sembrati fare passi indietro e l'impressione è che, prima della prossima settimana, le cose non cambino. A smuovere le acque, a questo punto, potrebbe essere innanzitutto un'iniziativa dei principali leader Ue: da Pedro Sanchez a Emmanuel Macron, fino a Giorgia Meloni e Olaf Scholz, chiamati a un'intesa politica per una decisa moral suasion sui gruppi al Parlamento.
Gruppi che appaiono incapaci di ricucire. Arrivare in queste condizioni a mercoledì prossimo - quando all'Eurocamera si riunirà la conferenza dei presidenti mentre a Madrid Teresa Ribera riferirà al suo di Parlamento sulle alluvioni di Valencia - appare arduo. Se a Roma per Raffaele Fitto si è mosso il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a Bruxelles il problema non è tanto nel candidato italiano. È nella spagnola Ribera, e nei popolari che finora hanno seguito la delegazione iberica nel suo attacco a tutto campo contro la fedelissima di Sanchez. Fitto, nelle votazioni della commissione competente, avrebbe i numeri per passare al terzo scrutinio, quello segreto a maggioranza semplice: passerebbe senza il sì dei socialisti e con l'appoggio dell'estrema destra, ma passerebbe. Ribera, senza il sì del Ppe, non ha invece una maggioranza possibile. E tra i socialisti su un punto non hanno dubbi: "Se salta Ribera, salta Ursula". A tutto ciò va aggiunto il caso di Oliver Varhelyi, il candidato ungherese che S&D e Renew vorrebbero depauperato di alcune deleghe e che è ancora in attesa del responso del Pe alla sua audizione.
Nel frattempo la maggioranza Ursula continua a spaccarsi in Aula. Lo ha fatto in occasione del voto sul rinvio delle misure sulla deforestazione, dove gli emendamenti del Ppe e il testo finale sono passati con il 'no' dei socialisti e grazie alla maggioranza Venezuela (popolari, Patrioti, ultradestra di Afd) e ad una buona fetta di Renew, che ha ottenuto l'accoglimento delle proprie proposte. Il voto ha ulteriormente avvelenato il clima. La presidente dell'Eurocamera Roberta Metsola poco prima aveva provato a fare da pompiere, ricordando come per la formazione della nuova Commissione - il voto in Plenaria è il 27 novembre - "c'è ancora tempo" e "l'Aula prende molto seriamente questa sua responsabilità".
Von der Leyen appare impietrita nel suo silenzio. Ma, spiegano fonti parlamentari, solo prendendo l'iniziativa potrebbe tentare di sciogliere l'impasse. Magari con una dichiarazione nella quale metta nero su bianco che la Commissione si muoverà nell'alveo della maggioranza fatta da socialisti, popolari e liberali. Si dovrà muovere Ursula, si stanno già muovendo i leader. Indiscrezioni parlamentari fanno riferimento a una videocall di mercoledì sera - interlocutoria e dai toni non serenissimi - tra Sanchez, Scholz, Manfred Weber e Macron. A Monaco di Baviera, domani, ad incontrarsi saranno Antonio Tajani e lo stesso Weber. Il pressing sul leader del Ppe per abbandonare a sè stessa l'offensiva del Partido Popular potrebbe crescere. Restare fermi sulle proprie posizioni potrebbe costar caro. Ai leader dei gruppi al Pe. Alla stessa von der Leyen, che mai avrebbe immaginato un riemergere dei possibili profili a lei alternativi a un passo dal traguardo. "Chiunque non sia preoccupato è cieco", è la constatazione che in queste ore circola nei corridoi del Berlaymont.