BRUXELLES - Ursula von der Leyen ha ottenuto tutto ciò che aveva previsto. E' riuscita tenere a bordo l'Italia di Giorgia Meloni senza perdere di vista una coalizione europeista e costruendo una Commissione che, rispetto alla precedente, è nettamente a sua immagine e somiglianza.
Il 27 novembre, con il voto della Plenaria, il nuovo esecutivo potrà partire. Eppure, sarà in quell'occasione che emergerà l'altra faccia della Commissione von der Leyen bis. La maggioranza che la sosterrà, infatti, rispetto al luglio scorso apparirà sensibilmente cambiata: senza i Verdi ma con Fratelli d'Italia. E con l'incognita delle defezioni interne ai Socialisti.
Il day after del faticosissimo accordo che ha portato, per la prima volta da anni, a confermare per intero tutti e 26 candidati commissari è stato segnato da distinguo, mugugni, equilibrismi. L'intesa che ha blindato Raffaele Fitto e Teresa Ribera resterà, per diverso tempo, mal digerita. Le clausole che, da un lato i Socialisti e dall'altro il Ppe, hanno voluto aggiungere alle lettere di missione di Fitto e Ribera hanno rappresentato l'ultima coda di veleni tra due forze che appaiono sempre più lontane. La cooperazione tra le tre aree (con i Liberali) filo-Ue che ha caratterizzato finora l'azione comunitaria non sarà più solida prima. E il documento programmatico siglato dalle tre forze europeiste non preclude eventuali nuove aperture del Ppe alle destre.
Mercoledì mattina a Strasburgo la Conferenza dei presidenti dei gruppi ufficializzerà il voto alla Commissione nel suo complesso per le dodici. Von der Leyen, nel frattempo, terrà il suo secondo discorso programmatico - dopo quello di luglio - all'Aula. E dovrà pesarlo bene perché ogni parola può voler dire un voto favorevole confermato o perso. Sia chiaro: a meno di colpi di scena al limite della fiction von der Leyen e la nuova Commissione non corrono alcun rischio.
Per essere confermati dalla Plenaria basta la maggioranza semplice dei voti espressi e non il quorum di 361 richiesto nel voto alla presidente nella sessione di luglio. Ma, pallottoliere alla mano, è quasi certo che la maggioranza Ursula ne uscirà nettamente ridotta. I Verdi sono a un passo dall'ufficializzare quel voto contrario che la delegazione italiana del gruppo ha già formalmente annunciato.
Il M5S e The Left hanno parlato di "democrazia calpestata". I Socialisti francesi, se manterranno quanto anticipato nelle scorse ore, voteranno anche loro contro. E il dissenso interno al gruppo S&D potrebbe allargarsi a tedeschi e olandesi. Azzoppando, così, la leadership della spagnola Iratxe Garcia Perez. Il Pd ha sempre mantenuto un basso profilo, senza mai esporsi troppo. Il capodelegazione Nicola Zingaretti si è detto fiducioso che i Dem votino "compatti" per Ursula e ha definito "ridicole" le accuse di Fratelli d'Italia di non difendere gli interessi del Paese schierandosi apertamente con Fitto. "Ora dobbiamo vedere se Meloni sceglierà di stare con Trump, con Musk o con l'Unione europea", ha incalzato Zingaretti.
Fratelli d'Italia, dal canto suo, sostiene che non ci sono maggioranze precostituite in Europa. Meloni punta alle maggioranza variabili, magari sfruttando la sponda del Ppe sui dossier cruciali per l'Italia. Ma è anche vero che, mercoledì, Fdi entrerà formalmente nella maggioranza a sostegno di von der Leyen. In Ecr potrebbero seguirla le delegazioni cece e belga. I polacchi del Pis difficilmente lo faranno. E chissà se l'allargamento non debordi ai Patrioti. Fidesz, ad esempio, ha un suo commissario nell'esecutivo scelto da von der Leyen. Mentre la Lega ha già annunciato che si smarcherà. "Nel centrodestra ci sono sensibilità diversa e noi non siamo la stampella di nessuno", ha sottolineato Paolo Borchia. L'avvertimento, dalle parti dei meloniani, non passerà inosservato mentre per von der Leyen quella quota 401 che la incoronò in estate è destinata a restare un'utopia.
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