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Il caso Almasri alla Camera preliminare della Corte penale internazionale

Da l'Aja sottolineano: "Riflettori accesi sulla mancata cooperazione di Roma"

Il caso Almasri alla Camera preliminare della Corte penale internazionale
Il caso Almasri alla Camera preliminare della Corte penale internazionale

Redazione Ansa

BRUXELLES - Una breve nota diffusa dal portavoce della Corte dell'Aja per ufficializzare di aver acceso i riflettori sul caso Almasri. Ventitré giorni dopo aver spiccato un mandato d'arresto internazionale nei confronti del carceriere libico, la Corte penale internazionale ha deciso di chiedere a Roma spiegazioni formali sui motivi che hanno portato le autorità a ignorare la richiesta di consegna, violando gli obblighi di cooperazione.

Tra i custodi dello Statuto di Roma il riserbo è massimo ma, nell'analisi concorde di giuristi ed esperti vicini alla Corte, il rischio che il dossier finisca sul tavolo del Consiglio di sicurezza dell'Onu è più che concreto. Anche se l'iter potrebbe rivelarsi assai lungo. Nessuna indagine è invece all'orizzonte nei riguardi della premier Giorgia Meloni e dei ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, a dispetto del ricorso presentato da un rifugiato sudanese vittima delle torture di Almasri.

Aperto il 2 ottobre scorso su richiesta del procuratore capo della Cpi, il caso è da settimane al centro del tavolo della Camera preliminare I dell'Aja, con la giudice rumena Iulia Motoc a guidare i lavori affiancata dalle togate Reine Alapini-Gansou e María del Socorro Flores Liera. Sono state loro ad approvare il 18 gennaio il mandato d'arresto per il generale libico con l'accusa di crimini di guerra e contro l'umanità commessi dal febbraio 2011 nella famigerata prigione di Mittiga. Una decisione avallata pur con "un'opinione in dissenso" espressa dalla messicana Flores Liera, giudice dalla carriera diplomatica di altissimo profilo, dichiaratasi contraria sostenendo che la Cpi non abbia giurisdizione in merito. Una carta giocata poi dal governo per evidenziare, nelle parole di Nordio, il "pasticcio" commesso dal tribunale dell'Aja. Sul quale anche il vicepremier Matteo Salvini, da Israele, è tornato a puntare il dito, ribadendo le sue "perplessità" sul mandato d'arresto emesso nei confronti del premier israeliano Benyamin Netanyahu.

A dettare le prossime mosse nel confronto sempre più teso tra il governo e l'Aja saranno lo Statuto di Roma, caposaldo della Corte, e il regolamento 109 della stessa Corte penale internazionale che prevede il possibile rinvio del dossier all'Assemblea degli Stati Parte o al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Un bivio delicato davanti al quale, se le giudici dovessero ritenere l'Italia responsabile di mancata collaborazione, il caso non resterebbe confinato all'Aja - che esercita giurisdizione sulla Libia in virtù di una risoluzione dello stesso organo esecutivo dell'Onu - ma finirebbe dritto a New York, dove la Cpi è sempre più sotto il fuoco di Donald Trump.

Archiviato il rammarico di rito davanti all'assedio del presidente americano alla giustizia internazionale, dal canto suo l'Europa si prepara a "nuove mosse" per blindare la Corte e i suoi giudici dalle sanzioni finanziarie e sui visti minacciate dalla Casa Bianca. L'arma pronta a essere sfoderata è lo scudo legale, in gergo "statuto di blocco", aggiornato nel 2018 per proteggere le aziende del continente dalle sanzioni contro l'Iran imposte dalla prima amministrazione Trump. La decisione, da maturare nei prossimi giorni, potrebbe spaccare il fronte europeo nel solco di quanto avvenuto la scorsa settimana al momento della firma del testo dell'Onu a sostegno della Cpi. Un documento benedetto da Ursula von der Leyen ma con l'Italia unica tra le big a sfilarsi insieme a Ungheria, Austria, Repubblica Ceca e Ungheria. 

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