(di Giovanni Franco) (ANSA) - PALERMO, 28 NOV - (ENZO D'ANTONA, GLI SPAESATI. CRONACHE DEL NORD TERRONE, ZOLFO, PP197,17 EURO) "Negli anni Settanta cominciammo ad andarcene un po’ per volta. Dopo il diploma e i primi anni di università molti di noi si accorsero che non c’erano alternative. Per trovare lavoro bisognava fare la valigia, non più di cartone, e andare al Nord. I primi furono i vincitori di concorso. Poste, Ferrovie, cancellerie di tribunali, uffici pubblici statali, ma anche provinciali e comunali. La speranza, più che altro l’illusione, era di rimanere qualche anno fuori casa e infine riuscire a ottenere un trasferimento in Sicilia", osserva il giornalista Enzo D'Antona. Ma chi sono questi "cervelli in fuga dal Sud"? Quali sono le loro storie? Come hanno vissuto la quotidianità di quella che il cronista definisce una vera e propria "deportazione"? Le risposte a queste domande le possiamo trovare nel suo libro "Gli spaesati. cronache del nord terrone", in distribuzione dal 26 novembre. "Nei ventuno anni che vanno grosso modo dalla strage di piazza Fontana all’inizio di Tangentopoli, tra il 12 dicembre 1969 e il 17 febbraio 1992, c’è stato per la prima volta nella piccola storia della Sicilia rurale, l’esodo di massa di giovani diplomati e laureati. L’inizio dell’emigrazione borghese", ricorda l'autore. Con uno stile asciutto, pervaso da una sottile ironia, D'Antona, ex redattore del glorioso quotidiano L'Ora, poi approdato al settimanale Il Mondo a Milano, e successivamente a Repubblica, alla Città di Salerno e infine alla direzione del Piccolo di Trieste fino all'anno scorso, traccia l'identikit e narra le odissee di un gruppo giovani di un paese dell'entroterra siciliano emigrati al Nord dagli anni Settanta ai Novanta. Ragazzi che vanno a fare gli operai metalmeccanici, ma poi anche gli insegnanti, gli impiegati pubblici, i liberi professionisti." Ben diversi dai loro predecessori subiscono, comunque, una condizione permanente di spaesamento. L'integrazione è possibile solo a costo di rinunciare a pezzi della propria identità culturale, e comunque il destino inevitabile sembra - ma non è scontato - di essere esclusi da certi luoghi e miti a cui hanno accesso soltanto i settentrionali", osserva lo scrittore. Così le vite di Ghezio, Crocifisso, Fernando, Liborio, Gnazio, Aurelio, Milziade e Artemio, Silvestro e Gianrosario - tutti partiti da una stessa palazzina popolare - si dispiegano a Torino, Milano e Genova incrociando i grandi mutamenti italiani. Le loro vicende sono scandite in maniera diacronica dai maggiori fatti di cronaca che hanno caratterizzato il secolo scorso: dai delitti di mafia alle mutazioni economiche e politiche. "Le storie sono tutte vere anche se per rendere non riconoscibili i singoli personaggi le ho in qualche misura rimescolate - spiega D'Antona -. E il paese si sarebbe potuto chiamare Riesi (Cl)– il mio amato paese di nascita – se non fosse che Iudeca abbraccia anche altre vite vissute e ascoltate nel corso di tanti anni in altri luoghi". Sipari di una lunga messa in scena di solitudine e di esclusione. L'arrivo alla "terra promessa", prende le mosse quasi sempre da quello che fu definito il Treno del Sole: il simbolo e l’icona giornalistico-cinematografica della grande emigrazione al Nord nel secondo dopoguerra, "ma non ha niente di solare. Anzi ha un che di ammuffito - racconta l'autore - Comunque è lì sul treno che, a poco a poco, il normale cittadino meridionale si trasforma, perde buona parte delle sue convinzioni sull’uguaglianza dei cittadini nell’Italia unita e acquisisce le sembianze e lo status di terrone". E' proprio per questo che, a volte, si arriva a una "crisi d'identità territoriale". Dice Gnazio: "quando sono al Nord passo le giornate a difendere il Sud. Poi quando vado in Sicilia mi incazzo e non faccio altro che difendere il Nord”. Una conseguenza dello sdradicamento dalle origini. Chissà. "Certo l’impatto con la nuova realtà può essere ancora duro, a volte doloroso, e c’è sempre quel senso di smarrimento e di lontananza- chiosa l'autore - Più che emigrati, all’inizio sono pendolari, ma sappiamo che solo pochi torneranno e molti invece saranno felici di vivere al Nord. Per il Sud – e per il paese di Iudeca che li rappresenta tutti – è uno spreco di intelligenze, di possibilità, di prospettive comuni. Un genocidio culturale senza fine".
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