Friuli Venezia Giulia

Vescovo Trevisi, non rassegnarsi alla chiusura di Wartsila

Richiamo alla responsabilità sociale dell'impresa

Redazione Ansa

(ANSA) - TRIESTE, 06 DIC - "Come può una multinazionale che si definisce leader globale nelle tecnologie innovative dismettere un patrimonio di conoscenze, una sede storica, licenziamento di massa sostanzialmente senza impegnarsi a cercare un futuro per i lavoratori e per questa sua sede industriale? Come può esserci un totale disinteresse per una città nella quale finora ha fatto profitto e ha tratto prestigio?" Sono le domande che si pone Enrico Trevisi, Vescovo di Trieste, sulla vertenza Wartsila, in una nota diffusa oggi.
    "Mi faccio interprete delle attese dei lavoratori, di tante famiglie e della città, che ha una sua anima di solidarietà e di comunione, nel chiedere che le autorità politiche e imprenditoriali non si rassegnino a veder chiudere, dismettere, licenziare, impoverire Trieste", scrive il Vescovo Trevisi.
    "Non sono titolato a esprimere giudizi di politica industriale - prosegue - Quello che posso fare è richiamare la lunga tradizione della dottrina sociale della Chiesa, e in essa trovo richiami importanti alla responsabilità sociale dell'impresa". Una parziale risposta è in Benedetto XVI, Caritas in veritate n. 40: "Sempre meno le imprese, grazie alla crescita di dimensione e al bisogno di sempre maggiori capitali, fanno capo a un imprenditore stabile che si senta responsabile a lungo termine, e non solo a breve, della vita e dei risultati della sua impresa, e sempre meno dipendono da un unico territorio". Da qui parte una denuncia: "La mancanza di assunzione di responsabilità vero i lavoratori, verso l'indotto, verso la città", segnalando "la crescita di una classe cosmopolita di manager, che spesso rispondono solo alle indicazioni degli azionisti" in genere "costituiti da fondi anonimi che stabiliscono di fatto i loro compensi". Il Vescovo, che non ha "mai incontrato la dirigenza della Wärtsilä, chiede di "adoperarsi per dare un futuro lavorativo dignitoso per tutti i lavoratori", compreso l'indotto. Quello che ci aspettiamo dai buoni manager è la capacità di promuovere il bene delle città e non solo di sfruttarle per poi andarsene. Ci aspettiamo la capacità imprenditoriale di trovare soluzioni vantaggiose per tutti i 'portatori di interesse' non solo per gli azionisti o chi rimane in altre sedi". (ANSA).
   

Leggi l'articolo completo su ANSA.it