Friuli Venezia Giulia

>>>ANSA/ Basaglia, nuovo umanesimo che restituì diritti a tutti

L'11 marzo i 100 anni da nascita del rivoluzionario psichiatra

Redazione Ansa

(di Francesco De Filippo) (ANSA) - TRIESTE, 01 MAR - "Forse i manicomi torneranno a esistere, forse saranno chiusi ma noi abbiamo dimostrato che esiste un modo diverso di assistere i malati, e la testimonianza è fondamentale". Giovanna Del Giudice, psichiatra snocciola a memoria la frase di Franco Basaglia, del cui gruppo faceva parte. Su a San Giovanni, nella parte alta di Trieste, negli anni della "rivoluzione", in questa città già tormentata da cento anni di guerra, il più matto degli psichiatri riuscì nella impossibile impresa concettuale prima e materiale poi, di distruggere i manicomi, slegare i matti, liberarli da cento anni di psichiatria fatta di contenzione ed elettrochoc, e farli uscire.
    Sfondarono i cancelli e dietro l'equino azzurro di cartapesta Marco Cavallo scesero in città insieme con i medici, più allegri, esuberanti e disorientati di un'armata brancaleone.
    Difficile capire se fosse più spaventata la gente o i matti, catapultati nello sfavillante mondo della libertà.
    Giovanna Del Giudice parla di "un nuovo umanesimo", di uno sguardo diverso sul mondo, e della "restituzione dei diritti ai molti che, una volta riconosciuti istituzionalmente come matti, li avevano persi". Un nuovo paradigma di pensiero, non un nuovo modello terapeutico. L'11 marzo prossimo cadranno i cento anni della nascita di Basaglia, il mondo lo ricorda, l'Italia un po' meno, sebbene ne abbia scolpito le indicazioni sanitarie (e filosofiche) nella pietra della legge, la n.180 del 13 maggio 1978 che porta il suo nome. Quella norma impose la chiusura dei manicomi e regolamentò il trattamento sanitario obbligatorio istituendo i servizi di igiene mentale pubblici. Lo ricorda Trieste, che l'ha amato e l'ha odiato, dando la prima impronta politica all'intera rivoluzione. Michele Zanetti, presidente (democristiano) della Provincia di Trieste dal 1970 al 1977, fu la "sponda" politica. Senza di lui la rivoluzione avrebbe preso altre strade. E ricorda che "all'epoca il Piccolo combatté duramente la (sua, ndr.) giunta e l'esperienza di Basaglia. Non c'è stato nessun sostegno ma solo molti attacchi". E oggi? "Oggi la politica sembra retrocedere", è la stessa "intenzione dei responsabili della salute a Trieste e Gorizia", precisa con amarezza Zanetti. Anche nel resto d'Italia.
    Gli scaffali delle librerie si piegano sotto il peso dei volumi vergati sull'altro, sul diverso, e sulle paure che questi esercitano su di noi, normodati dalla parte giusta della barricata. Dunque, non sorprende l'ostracismo che ancora oggi si leva davanti alle opere e al pensiero di Basaglia, prematuramente scomparso all'età di 56 anni. Ma restano quei nuovi individui degni di diritto e la convinzione che la malattia mentale si può e si deve curare.
    Lo sintetizza bene chi quell'eredità l'ha scelta e se l'è accollata. Cristina Montesi, medico internista medicina del territorio tra Trieste e Milano, basagliana di seconda generazione, "i principi di cambiamento della psichiatria mediati da Basaglia si sono riversati sui servizi territoriali verso una medicina della personalizzazione, una medicina del reale, contro la spersonalizzazione che può incontrare in una dimensione ospedaliera". L'assunto è semplice: "L'ospedale non si chiede da dove viene una persona, il territorio sì: ha una capacità di osservare con una dimensione di prossimità i bisogni delle persone, anche sociali, culturali. Perché la medicina è radicata nella comunità, è una visione di attenzione all'esistenza delle persone". (ANSA).
   

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