L'assoluzione in ogni grado di giudizio per Alejandro Augusto Stephan Meran ha lasciato l'amaro in bocca. E' comprensibile per le famiglie dei due agenti da lui uccisi in una incredibile sparatoria avvenuta nella Questura di Trieste. Matteo Demenego e Pierluigi Rotta furono uccisi il 4 Ottobre 2019 in una situazione che definire particolare è un eufemismo.
Una situazione sulla quale i parenti di Demenego intendono fare chiarezza e per questo hanno citato in giudizio, civile, il ministero degli Interni. Il padre di Matteo, Fabio Demenego, che non si è mai rassegnato alla morte del figlio, con il quotidiano Il Piccolo è stato lapidario: "La responsabilità, anche come datore di lavoro, qualcuno se la deve prendere", d'altronde, "se c'è una responsabilità da parte del ministero, il ministero pagherà", visto che "Mio figlio è stato ucciso dentro a una Questura con la pistola di un collega, e sappiamo tutti come è andata a finire la causa penale".
Alejandro Meran, originario dominicano, era arrivato in Questura portato dagli agenti che erano andati a prenderlo a casa. Il fratello lo aveva convinto a costituirsi per il furto di un motorino, restituito poco dopo. Nulla di grave, insomma, sarebbe stato fantasioso soltanto immaginare una scazzottata, figurarsi il giovane che si impadronisce della pistola di un agente, spara e ne uccide due e fugge, continuando a sparare a due mani miracolosamente senza ammazzare altre persone.
Del suo profilo psicologico si è scritto molto nelle perizie che si sono succedute: "incapace di volere", affetto da "un vizio totale di mente", "schizofrenico", colto da "delirio persecutorio". Inevitabile il giudizio della legge: assolto in primo grado nel maggio 2022, poi in secondo grado nell'aprile 2023 e infine, in Cassazione, nel febbraio scorso.
La ragione: incapacità di intendere e di volere. Per lui, che nel frattempo è stato trasferito di carcere in carcere, si sono infine aperte, come da sentenza, le porte di una Rems (Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza), una struttura specifica, con obbligo di permanenza, per 30 anni. Nella fattispecie, una struttura che si trova in provincia di La Spezia.
"Non può finire tutto all'acqua di rose - reagisce Demenego - Come famiglia abbiamo quindi deciso di continuare, avevamo detto subito che l'intenzione nostra sarebbe stata quella di non mollare, ma di andare fino in fondo". Una scelta dolorosa riconosce lo stesso genitore: "Per me affrontare questa cosa è devastante, è una storia che non si chiude mai. Io sto ancora male".
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