Confermata dalla Cassazione la condanna a quattro anni di reclusione per un ispettore di polizia che nel 2013 aveva violentato, nella sua stanza al Commissariato Ps di San Basilio, una ragazza appena diciottenne fermata nel corso di un controllo antidroga sulla macchina dove con la giovane c'era il fidanzatino e tre amici con una modesta quantità di hascisc. Confermata l'aggravante di aver abusato della vittima "nell'esercizio delle sue funzioni di commissario ed all'interno del Commissariato dove lavorava".
Nel ricorso alla Suprema Corte, contro la condanna inflittagli nel 2016 dalla Corte di Appello di Roma, il poliziotto, Massimo Selva, ha sostenuto che la ragazza era consenziente e che nulla aveva fatto per fargli credere il contrario. I supremi giudici - sentenza depositata oggi, udienza del 30 gennaio - hanno replicato che la tesi del "consenso presunto" è "certamente da escludersi nell'ipotesi di abuso sessuale da parte di un ispettore di polizia nell'esercizio delle sue funzioni nei confronti di una ragazza fermata perché a bordo di un'autovettura contenente sostanza stupefacente e dunque in evidente posizione se non di soggezione comunque di timore tale da condizionarne le reazioni".
La ragazza di questa brutta vicenda infatti non oppose resistenza, per timore di 'danneggiare' la posizione degli altri quattro ragazzi e di rischiare anche per sé una denuncia per stupefacenti, quando il poliziotto le abbassò i pantaloncini e la violentò. Secondo gli 'ermellini', "con coerente e logica motivazione" i giudici di merito "hanno ritenuto irrilevante il fatto che l'imputato non avesse mai in concreto correlato l'acquiescenza della ragazza alla posizione dei suoi amici" affermando che era "la stessa posizione autoritativa derivante dal pubblico ufficio ricoperto dall'imputato ad aver ingenerato nella vittima, in condizioni di naturale soggezione e timore all'interno di un Commissariato nell'attesa di conoscere le sorti dei ragazzi che erano stati fermati con lei in flagranza di un possibile illecito, la costrizione a subire il compimento degli atti sessuali".
E' stata respinta dalla Cassazione anche la richiesta della difesa del poliziotto di ottenere l'attenuante della violenza sessuale di "minore gravità". Per gli alti magistrati, in proposito, la sentenza d'appello "dà conto con puntuale e coerente motivazione della valenza particolarmente negativa della condotta posta in essere dall'imputato in relazione sia all'incisività dell'atto sessuale, sia all'abuso di autorità derivante dalla funzione ricoperta dall'imputato, circostanze entrambe volte ad escludere una attenuata compressione della libertà sessuale della vittima". L'ispettore venne arrestato nell'ottobre 2013, mesi dopo la violenza, quando la ragazzina, figlia di un carabiniere, decise di raccontare l'abuso subito dando anche il particolare di un tatuaggio sull'inguine dello stupratore in divisa.