Lazio

Gentile, mio 'celerino' black tra cameratismo e identità

Il 24/2 esce Il legionario di Hleb Papou premiato a Locarno

Redazione Ansa

(ANSA) - ROMA, 23 FEB - Daniel, figlio di immigrati africani, nato e cresciuto a Roma, giovane e preparato agente nella Capitale del Primo Reparto Mobile della Polizia di Stato (la Celere), legato ai compagni da un forte cameratismo, che scopre di dover andare a fare lo sgombero nel palazzo occupato dove è cresciuto e nel quale ancora vivono sua madre (Felicité Mbezelé) e suo fratello Patrick (Maurizio Bousso). E' il personaggio coinvolgente e complesso interpretato da Germano Gentile nell'action drama Il legionario, opera prima di Hleb Papou che dopo aver raccolto riconoscimenti in vari festival europei, a cominciare da quello come miglior regista emergente a Locarno (dove il film ha debuttato nella sezione Cineasti del presente) arriva in sala dal 24 febbraio con Fandango.
    Un viaggio intenso, a ritmo sostenuto e senza didascalismi, girato anche in un vero palazzo occupato, quello via Santa Croce in Gerusalemme a Roma, che ha fra i perni la straordinaria prova d'attore di Germano Gentile. Classe 1985, nato in Brasile e cresciuto in Italia, a Rieti, era già stato coprotagonista 12 anni fa, di un film pluripremiato come Et in terra Pax di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini. Per l'attore, il legame con Il legionario è profondo, avendo già interpretato nel 2016, l'omonimo corto di Papou, premiato al Lido: "E' un ruolo straordinario - spiega all'ANSA Gentile -. Un personaggio che non riesce a trovare la propria identità e quasi la perde. Si ritrova combattuto tra il lavoro che ha scelto e la sua famiglia di cui nessuno sa". Un ruolo così bello e sfaccettato "per noi attori black in Italia non è frequente anche se oggi c'è una maggiore apertura" aggiunge sorridendo l'attore, che ha recitato fra gli altri in Nessuno mi può giudicare e Rocco Schiavone.
    Ormai Daniel "lo sento parte di me - spiega -. Abbiamo avuto esperienze di vita molto diverse ma comprendo quel tipo di cameratismo, io l'ho vissuto giocando a calcio per oltre 20 anni. Poi in provincia, noi ragazzi di colore eravamo pochi, e siamo cresciuti sentendo certe battute. Per stare in quella realtà metabolizzi e razionalizzi. In quel mondo devi poter sorridere invece di urlare, invece di fare la guerra con tutti".
    (ANSA).
   

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