Nelle sovraffollate carceri italiane non ci sono soltanto i suicidi. Fa discutere nelle ultime ore la morte, a distanza di poco tempo a Roma, di due detenuti malati. Il primo, deceduto nella notte tra il 19 e il 20 febbraio, si trovava in cella a Rebibbia: aveva 66 anni, era diabetico e cardiopatico. Il secondo, morto poco dopo, aveva 77 anni ed era affetto da polmonite, oltre ad avere un'insufficienza renale: era ricoverato, proveniente da Rebibbia dove si trovava recluso al regime del 41 bis. Dopo gli episodi, tra i primi a denunciare "l'incompatibilità della detenzione con le malattie gravi, che non possono essere adeguatamente curate in carcere", è il Garante delle persone private della libertà del Lazio, Stefano Anastasia, il quale si è impegnato a tenere un incontro con i dirigenti della Asl per accertare lo stato dei servizi sanitari interni all'istituto. E la deputata del Pd Michela Di Biase, componente della commissione Giustizia, annuncia un'interrogazione urgente al ministro Nordio per "andare a fondo" su queste due vicende: "ormai siamo oltre l'emergenza".
Intanto dal Garante nazionale dei detenuti saranno avviate verifiche, così come è stato fatto e sta avvenendo anche per altri casi. Sulla morte del 66enne la procura capitolina ha avviato un'inchiesta, che - riferisce lo stesso Garante del Lazio - "dirà della tempestività dei soccorsi e dell'assistenza prestata". Non si esclude che possa essere effettuata l'autopsia sul corpo dell'uomo. Per il 77enne invece, che era già ricoverato da oltre un mese in ospedale, non sarebbe stato avviato alcun procedimento. Proprio in queste ore il capo del Dap, Giovanni Russo, intervenendo in commissione Giustizia ha affrontato una serie di temi che riguardano le criticità nelle carceri, a partire dai suicidi: una ventina dall'inizio dell'anno.
"In dieci casi si è trattato di detenuti in fase di custodia cautelare", ha detto Russo intervenendo anche sulla questione delle misure alternative al carcere: "è qualcosa su cui si può incidere" con effetti deflattivi del sovraffollamento degli istituti penitenziari dove attualmente - dato aggiornato al 19 febbraio -sono reclusi 60.926 detenuti. Il capo del Dap ha spiegato che occorre "offrire ai decisori", quindi ai magistrati, la possibilità di far uscire dal carcere, ad esempio, i circa novemila detenuti ai quali rimane una pena residua da scontare di circa un anno, insomma coloro che sono "all'ultimo miglio".
In alcuni casi si tratta di soggetti che hanno commesso reati gravissimi, per cui occorre fare una scrematura. L'idea sarebbe quella di collocare chi ha ancora un solo anno da scontare in "comunità validate dal Dap" con "modalità di governo molto stringente" nel caso di detenuti condannati per reati gravi che dovranno sempre essere accompagnati da un 'vigilante' nel caso di lavoro esterno alla comunità.
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