Subito dopo il pestaggio, costato la vita all'ingegnere Sergio Faveto, i ragazzi si erano vantati in giro. "Siamo dei grandi, lo abbiamo pestato", dicevano agli amici prima che la vittima morisse per i traumi.
Era un uomo fragile e solo e con una gran voglia di parlare con qualcuno. Un suo vicino di casa lo ha visto e lo ha preso a schiaffi accusandolo di essere un pedofilo. E' questa, secondo i carabinieri che hanno portato avanti le indagini, la "scintilla" che ha fatto scattare "una vera e propria spedizione punitiva", come scrive il gip. I ragazzi, dopo che Faveto ha chiamato il Nue per la prima aggressione rifugiandosi in un androne, lo hanno costretto a uscire e lo hanno buttato a terra. A quel punto il minorenne lo ha preso a calci sul petto. Poi, quando hanno sentito avvicinarsi le sirene, sono scappati.
Quando Faveto muore a settembre, i ragazzi hanno iniziato a preoccuparsi, e hanno cancellato tutte le chat. E quando i carabinieri sono riusciti a rompere il muro di omertà, Borsi ha cercato addirittura di trovare una sorta di giustificazione e ha provato a convincere alcuni amici, chiamati in caserma come persone informate dei fatti, a dire che quella sera l'ingegnere aveva molestato una ragazzina. Alcuni ragazzi hanno parlato con i genitori dopo la convocazione degli investigatori. "Si sono vantati di aver picchiato un signore che poi è morto - ha raccontato un ragazzo a suo padre -, raccontavano le cose perché finché non era morto erano tutti presi bene. 'Stiamo dei grandi, l'abbiamo picchiato', dicevano". (ANSA).
Ingegnere morto: il vanto dei ragazzi, 'Siamo dei grandi, l'abbiamo pestato'
