Lombardia

Le mura di Bergamo, un docu-choc per non dimenticare

A Encounters a Berlino il film di Stefano Savona sulla pandemia

Redazione Ansa

(ANSA) - BERLINO, 23 FEB - Campane a morto e sirene. Questo l'incipit de LE MURA DI BERGAMO, docu-film di Stefano Savona che approda al Festival di Berlino a Encounters. Siamo appunto nel marzo del 2020 a Bergamo dove è appena scoppiata un esplosione violenta e inaspettata di Covid-19.
    Prodotto da ILBE - Iervolino & Lady Bacardi Entertainment con Rai Cinema, il docu - in sala a metà marzo con Fandango - non risparmia nulla allo spettatore e gli fa vedere immagini forti.
    Malati intubati in ospedale, infermieri disperati in azione, ospedali strapieni e un centralino costretto a dire: "No non lo porti in ospedale, non c'è posto. Controlli solo se respira, se riesce almeno a dire una frase". Ci sono poi i medici che decidono chi far vivere e morire. E questo secondo il criterio dell'età, l'aspettativa di vita. "Era una vera e propria guerra - dice a un certo punto un'infermiera - in cui i malati combattevano da soli, noi potevamo fare ben poco".
    "All'inizio quando siamo stati colpiti da questa tragedia è stata una sorta di choc - dice il regista all'ANSA -. Penso alle immagini con i camion militari pieni di bare. È stata come una presa di coscienza, qualcosa che non volevamo vedere e quando era già troppo tardi per mettersi in salvo. Volevamo documentare un evento storico cercando di capire e filmare tutto il possibile. Ora, dopo tre anni - spiega Savona -, non è più importante raccontare quello che è successo, ma ricordare quello che, per necessità, abbiamo dimenticato". E le immagini forti che si vedono? "Abbiamo lavorato in tempo reale e dunque ci sono immagini che possono dare fastidio, ma Bergamo è con noi. Molte delle persone che hanno partecipato sono qui con me a Berlino, per loro scelta. Tutti le persone intubate che si vedono sono comunque tutti sopravvissute, siamo stati molto attenti a salvaguardare la dignità e abbiamo avuto il massimo rispetto per tutti coloro che abbiamo ripreso. Se qualcuno parla in camera direttamente con l'operatore è solo perché ha voglia di parlare.
    Abbiamo sempre filmato da una distanza che non desse fastidio e, a volte, se qualcuno ci raccontava la sua storia lo faceva solo in maniera terapeutica". (ANSA).
   

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