Lombardia

Vallanzasca, il carcere non mi ha insegnato niente

L'ex bandito si racconta in "Malanotte. Rimpiango quasi tutto"

Redazione Ansa

(ANSA) - MILANO, 14 SET - "Io ho solo la mia parola, è l'unica cosa che ho. Sarà anche per questo che sono in galera da cinquant'anni, c'ho tutta una serie di princìpi miei che non riesco a non seguire, a costo di rimetterci le corna". E' un Renato Vallanzasca che va oltre il mito del bel René, del boss della Comasina, quello che si racconta a Micaela Palmieri nella biografia "Malanotte. Rimpiango quasi tutto", uscita per Baldini+Castoldi a fine agosto, poco prima della decisione dei giudici del Tribunale di Sorveglianza di Milano - arrivata ieri - di farlo uscire dal carcere, dopo 52 anni di detenzione, per essere curato in una struttura assistenziale.
    Insieme alla giornalista e scrittrice, il 'Dillinger della comasina' ripercorre la storia della sua vita, dalle rocambolesche fughe, alle sparatorie, dai rapimenti alle donne che hanno perso la testa per lui, ma in altre pagine a farsi protagonista è il monologo dal carcere del detenuto Vallanzasca. "Io ho fatto una miriade di casini ma sono loro - si legge nel bel libro, nato da una lunga serie di conversazioni tra l'ex bandito e la giornalista - che la vita me l'hanno rubata. Ed è singolare perché ero io, il bandito. Ero io che rapinavo le banche. Loro avrebbero dovuto rieducarmi. Mi vien da ridere quando sento parlare di giustizia riparativa.
    Che cazzo avete riparato? Gli errori si pagano, lo so anche troppo bene. Ma una volta che hai saldato il debito che hai con la giustizia - e il momento arriva per tutti, per quasi tutti - bisogna mettere un punto. Magari merito di morire in galera da confinato. Ma allo Stato chiedo delle regole".
    "Io ho vissuto da matto, da incosciente. - racconta l'oggi 74enne ex boss della 'batteria' che imperversava a Milano negli anni '70-'80 -. Lo sapevo e mi divertivo. A un bel momento sono stato anche travolto dagli eventi che mi hanno investito come una valanga e non sono più riuscito a fermarmi. Ho ucciso, rapinato e rapito. Non ho mai premeditato niente, ho sempre agito d'impulso, anche troppo, forse. Mi sono preso la responsabilità per i reati di altri perché comunque c'ero di mezzo io e mi sembrava giusto avere le palle di non tirarsi indietro. Sarebbe troppo comodo adesso parlare di rimpianti. Se potessi ricominciare, farei tutto in modo diverso ma questo è un altro discorso. Ed è inutile farlo. La verità è che ora voglio solo vivere tranquillo. La verità è che non sono più quel ragazzo, mi sembra un altro secolo".
    Al centro dei suoi pensieri, un unico desiderio, ora finalmente realizzato in parte, dopo oltre mezzo secolo di detenzione: "Vorrei uscire di galera e vivere quello che mi resta magari in una baita di montagna, senza chiedere permesso anche solo per poter andare al cesso". Con una conclusione amarissima: "Il carcere non mi ha insegnato niente". (ANSA).
   

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