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Teheran-Parigi via Milano, Iman lotta per 'oro e libertà'

Mahadavi in Refugee Team, in Italia lavora in security discoteca

Redazione Ansa

 "Sono un uomo libero. Se incrocerò un lottatore israeliano, lo affronterò perché per me è solo un avversario. Non un nemico".

Iman Mahadavi ha percorso oltre due mila chilometri a piedi dalla sua terra sul Mar Caspio, Mazandaran a nord di Teheran.

Ha attraversato confini dall'Iran all'Italia, è stato accolto da Milano, e solo ora - 4 anni dopo la fuga - è giunto alla meta: le Olimpiadi di Parigi. Alla lotta è abituato, e non solo perché è il suo sport. "Tutto il mondo sa quale è la situazione in Iran: sono andato via nel 2020 perché volevo seguire la mia via, cercare semplicemente una vita migliore e inseguire il sogno di diventare un lottatore e rimanere libero". Anche di contravvenire alle indicazioni del governo iraniano di rifiutarsi di combattere contro atleti di Israele.

 Milano gli ha aperto le porte di una nuova vita ("è la mia nuova famiglia: io la amo e lei ama me. Vorrei gareggiare per l'Italia"), e il Refugee Team gli ha spalancato quella dei Giochi. Il 2 maggio la notizia della wild card Cio, prima del torneo di qualificazione in Turchia che poi Iman ha saltato su indicazioni di fonti della sicurezza. "Ma non ho mai avuto paura di viaggiare in altri Paesi per le gare", assicura. A Parigi combatterà nella categoria 74 chili della lotta libera, la stessa dell'azzurro Frank Chamizo. "E' la categoria più dura", spiega Victor Cazacu, allenatore moldavo in Italia da venti anni, al suo fianco al villaggio olimpico. Lo ha preso sotto la sua ala, insieme con il Lotta Club Seggiano di Beppe Gammarota per il quale combatte. Oltre a un tappeto sul quale allenarsi, la società del quartiere Pioltello gli ha offerto una casa, e attraverso Victor un lavoro nella security in una delle discoteche vip milanesi. "Ho foto con Belen e tanti calciatori", sorride Iman, anche se qualcuno al villaggio gli ha assicurato che al suo ritorno al lavoro saranno loro a chiedergli un selfie. Sulle chance di podio, l'iraniano di Milano nutre fiducia. "Io mi sento preparato - spiega - come dice Victor, la mia è la categoria più dura, perché col calo di peso gareggiano anche lottatori della categoria superiore, non ammessa ai Giochi. Io ci credo. Me la vedrò anche con due connazionali, uno gareggia per la Serbia e uno per l'Iran".
    Di iraniani, Iman ne ha ritrovati tanti nel Team dei rifugiati, ben 13. "Siamo stati per cinque giorni in Normandia, a Bayeux, ospiti del Cio - racconta Iman - Abbiamo parlato molto, tra noi e con tutti gli altri. Ci sono siriani, afgani, sudanesi. Ci siamo raccontati le nostre vite, le strade percorse, le nostre nuove case, come funziona con i documenti. E abbiamo capito di avere tutti una cosa in comune: la ricerca della tranquillità e della pace". 'Give peace a chance' è il motto del Team che oltre ad auspicare la pace si riserva uno spicchio di tifo proprio per Iman. Sulla porta della sua stanza, qualcuno mentre lui era fuori per allenarsi ha appeso il disegno che lo ritrae con l'oro al collo.
    "In Iran - racconta Iman - ci sono ancora mia madre, mio fratello, mia sorella e tutti gli amici: sono orgogliosi di me, che io abbia attraversato montagne e superato difficoltà per raggiungere il mio obiettivo. E sono orgogliosi di vedermi felice. Quando posto una foto su Instagram, subito mi inviano di messaggi, Mi danno una grande energia e mi ispirano per realizzare il sogno dell'oro". L'altro, quello della libertà, è già realtà. 
   

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