Di Alessio Jacona*
Ancora una volta i conti non tornano. Dai molti rapporti e studi che a vario titolo provano a definire la presenza, il ruolo e l’influenza delle donne nel settore dell’intelligenza artificiale, emerge un’unica, scoraggiante conclusione: anche in questo settore strategico, ci troviamo di fronte all’ennesimo gender gap.
Il report più recente realizzato sul tema dal World Economic Forum risale al 2020: in quell’anno, a livello globale, secondo il WEF solo il 26% dei posti di lavoro del settore IA era ricoperto da donne, e diversi indicatori lasciano supporre che da allora a oggi poco sia cambiato. Tra questi, ci sono le preoccupazioni espresse recentemente dall’UNESCO: «In un momento in cui le tecnologie digitali stanno ridisegnando la vita di tutti i giorni - si legge sul sito dell’istituzione - le donne sono sottorappresentate nella ricerca e nella progettazione di queste tecnologie, le loro esigenze ed esperienze sono trascurate anche dai progettisti delle IA e i dati utilizzati per addestrare l'intelligenza artificiale sono spesso inquinati da bias nei confronti di donne e ragazze».
Purtroppo non c’è molto da stupirsi: viviamo in una società dove, a livello globale, le donne che lavorano vengono sistematicamente pagate meno, hanno minori possibilità di raggiungere posizioni dirigenziali e sono meno presenti nei campi della scienza, della tecnologia, dell'ingegneria e della matematica, ovvero di quelle materie STEM che sono fondamentali nello sviluppo delle nuove tecnologie basate su algoritmi. È un problema culturale: il risultato di una una visione distorta delle donne e del loro ruolo che è viziata da pregiudizi stratificati, e che condiziona ogni fase delle loro vite: dall'educazione familiare alle scelte scolastiche, dalle relazioni private alla carriera professionale.
È un problema che ci riguarda tutti: per la seconda volta in meno di un secolo, a 80 anni dall’avvento dell’era nucleare, l’umanità è chiamata a scegliere come governare un’altra tecnologia dalle enormi potenzialità, che comporta opportunità e rischi altrettanto grandi. Ora più che mai è quindi necessario il contributo di tutti, perché costruire a livello globale una visione e degli obiettivi condivisi è forse l’unico modo che l’umanità ha per governare davvero l’intelligenza artificiale e metterla al proprio servizio. Ora più che mai è fondamentale impedire che l’IA erediti i nostri pregiudizi di genere, razza o religione, assorbendoli dai dati su cui viene addestrata e che abbiamo prodotto noi, che ci rispecchiano come società. Ora più che mai, insomma, bisogna imbrigliare questo nuovo, straordinario potere algoritmico per sanare gli squilibri sociali e, tra le altre cose, dare alle donne la centralità che spetta loro di diritto.
Come? Contrastando il gender gap a ogni livello. Per esempio, incoraggiando sempre di più le donne a perseguire discipline STEM come percorso di carriera, e poi sostenendole eliminando ostacoli come paghe inferiori agli uomini e altre discriminazioni che le escludono da ruoli apicali. Favorendo la loro inclusione nei contesti dove le IA e gli algoritmi vengono progettati e sviluppati a nostra immagine e somiglianza. E poi, ancora, chiudendo il cerchio con l’utilizzo della stessa intelligenza artificiale per combattere il gender gap ovunque esso si trovi, in ogni sua manifestazione.
Una sfida non semplice, ma che è ancora possibile vincere: sempre l’UNESCO nel 2022 ha prodotto un rapporto intitolato “Gli effetti dell’IA sulla vita lavorativa delle donne”, in cui ad esempio si sostiene che i sistemi di intelligenza artificiale, quando utilizzati dalle aziende per la selezione di personale, o dai singoli per la ricerca di un lavoro, possono sia discriminare sia aiutare le donne che cercano un impiego, a seconda che siano o meno inquinati da bias. «I governi, le aziende del settore privato, le comunità tecniche e il mondo accademico - si legge nel rapporto - devono impegnarsi su questi temi e assumersi la responsabilità dell'impatto degli strumenti e dei sistemi di IA. I governi dovrebbero creare e promuovere politiche che considerino il potenziale impatto dei sistemi di IA sui gruppi vulnerabili. Le organizzazioni e le istituzioni hanno un ruolo nel sostenere ambienti di lavoro che garantiscano alle donne la parità di competenze».
Serve un cambio di passo, e serve ora. Perché se qualche mese fa uno studio Goldman Sachs ha svelato che l’IA generativa minaccia fino a 300 milioni di posti di lavoro a tempo negli Stati Uniti e in Europa, allo stesso tempo una ricerca realizzata dal Kenan Institute ci mette in guardia: se le cose vanno in questo modo, saranno le donne ad avere la peggio «per il semplice fatto che sono più numerose nei settori interessati dall'automatizzazione generata dall'IA».
Serve un cambio di passo, perché quando poi avviene davvero, l’IA può addirittura servire per sanare problemi gravi e radicati, come il ritardo nella ricerca e nello sviluppo di medicine e terapie mediche che siano dedicate specificamente alle donne. Ci sono infatti scienziati che già utilizzano la medicina computazionale e l’apprendimento automatico sia per migliorare la comprensione delle malattie e della loro diagnosi, sia per sviluppare terapie finalmente personalizzate dopo anni di cure pensate e testate per individui di sesso maschile. Un esempio da seguire.
Di questo e di molto altro parleremo alla tavola rotonda “IA generativa, donne protagoniste”, in programma durante 23/ma edizione di "Donna Economia & Potere", il seminario internazionale della Fondazione Marisa Bellisario, in programma venerdì 6 e sabato 7 ottobre, a Palermo, nel Convitto nazionale "Giovanni Falcone”.
*Giornalista, esperto di innovazione e curatore dell’Osservatorio Intelligenza Artificiale ANSA.it
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