di Alessio Jacona*
Il nostro amato smartphone, cioè l’oggetto che portiamo sempre con noi e con cui gestiamo quasi tutta la nostra esistenza, presto potrebbe presto apparirci meno importante: tra le tante cose viste al CES di Las Vegas, tra macchine volanti e schermi trasparenti, c’era infatti anche un oggetto apparentemente innocuo, eppure potenzialmente in grado di mettere in discussione quella che oggi è la totale supremazia digitale dei telefoni che abbiamo in tasca.
Il coniglio arancione
Si chiama Rabbit R1 ed è una scatolina arancione con uno schermo touch da meno di 3“, una telecamera ruotabile a 360°, due microfoni e uno speaker, la connessione 4G, la possibilità di fare videochiamate, una ghiera per gestire le info a schermo e un tasto per l’attivazione. Un piccolo oggetto che sembra un giocattolo, che costa come un giocattolo (199 dollari) e dall’aspetto abbastanza anonimo, ma che in realtà è stata creato con l’ambizione di cambiare il modo in cui utilizziamo le app e i servizi digitali, sfruttando al massimo l’incredibile potenziale dell’intelligenza artificiale generativa.
Già perché il mini computer - anzi il pocket companion, come lo definisce il fondatore di Rabbit Jesse Lyu - porta in dote con il proprio sistema operativo RabbitOS una tecnologia che consente al Large Language Model ChatGPT di OpenAI (basato su GPT) di rispondere a semplici comandi vocali per compiere azioni complesse al posto dell’utente, di fatto trasformandolo in un “super digital assistant”.
«La nostra missione è creare un computer così semplice da utilizzare che non devi imparare ad usarlo - ha spiegato Lyu a Las Vegas - il modo migliore per riuscirci è abbandonare l’approccio attuale basato su sistemi operativi che usano app, e passare a un approccio centrato sull’utilizzo del linguaggio naturale. Per questo abbiamo costruito un computer che chiamiamo compagno, e che è in grado di parlare, ascoltare e soprattutto di svolgere compiti».
Dopo l’LLM che parla, il LAM che fa
Via le schermate dello smartphone, via le mille app, una per ogni servizio, ognuna che richiede lo sforzo di apprenderne il funzionamento. Al Large Language Model sul Rabbit R1 si affianca un LAM, o Large Action Model, cioè un sistema capace di copiare e replicare le azioni umane: insieme LLM e LAM interagiscono con noi, capiscono le nostre richieste e agiscono utilizzando tutte le app e servizi necessari: per esempio, per prenotare un pranzo in un ristorante di pesce in una località vicina a casa ma in riva al lago, assicurandosi che abbiano anche un menù vegano, scegliendo i treni per raggiungere il posto e acquistando i biglietti. Tutto con un’unica richiesta formulata a voce, premendo il tasto di attivazione.
Ora: le demo vanno sempre prese con le pinze, perché avvengono in un ambiente protetto e ogni azione è stata provata e riprovata prima. Detto questo, bisogna ammettere che guardare Jessy Lyu mentre interagisce con il LAM del suo R1 è qualcosa che ricorda la migliore fantascienza. Merito anche dei tempi di reazione del sistema, che secondo il CEO di
Rabbit garantisce una risposta dieci volte più veloce delle altre viste finora, e che effettivamente risponde in tempo reale.
C’è anche da ricordare che il Rabbit R1 non è il primo dispositivo per interagire con l’IA alternativo allo smartphone presentato nell’ultimo anno: c’è anche l’AI PIN di Human, dispositivo indossabile con interfaccia vocale, touch e gestuale che utilizza GPT-4 e che però (quando arriverà sul mercato) costerà 699 dollari più un abbonamento mensile da 24 dollari al mese.
Un’IA che tutti possono addestrare
Per consentire all’R1 di utilizzare i servizi a cui si è iscritti, basta collegare gli account al Rabbit OS tramite un’apposita pagina di configurazione. La stessa dalla quale si accede un’altra funzionalità potenzialmente rivoluzionaria: il teach mode, ovvero uno spazio di addestramento dove si può “mostrare” all’IA dell’R1 come si fa una cosa (nella demo Lyu gli insegna a generare immagini con Midjourney) e poi questa viene automaticamente aggiunta alle funzionalità disponibili. Come se non bastasse si può anche utilizzare la telecamera dell’R1 per inquadrare un oggetto o un’immagine e chiedere all’IA informazioni su di essi. Una roba da lasciare senza parole.
«Non abbiamo costruito l’R1 per sostituire i vostri smartphone, si tratta di una nuova generazione di device concepiti dall’inizio intorno all’intelligenza artificiale», ha detto Jesse Lyu durante la sua presentazione, e forse lo pensa davvero. Tuttavia, una domanda sorge spontanea: se il Rabbit R1 (e gli altri apparecchi simili che potremmo vedere comparire nel prossimo futuro) funzionerà davvero bene come promette, chi vorrà ancora spendere oltre mille euro per uno smartphone top di gamma?
*Giornalista, esperto di innovazione e curatore dell’Osservatorio Intelligenza Artificiale ANSA.it
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