Bastano pochi minuti, tanti quanti ne servono per il pitch - la presentazione veloce e senza fronzoli - della sua startup, e Giulia Di Tomaso ha già conquistato il pubblico che, alla fine del suo intervento, esplode in un applauso. Ci troviamo a San Francisco, presso la sede dell’innovation hub italiano Innovit, dove la Di Tommaso è venuta a presentare Heremos, la startup di cui è Chief Technology Officer e co-fondatrice insieme a suo fratello Alessandro (che invece è il CEO).
Heremos sta per Health Remote Monitoring System: è uno spin-off dell'Università Campus Biomedico di Roma che sviluppa e fornisce dispositivi medici indossabili per il monitoraggio a distanza dei pazienti. La sua tecnologia consente la raccolta e l'elaborazione di dati fisiologici RAW in tempo reale, quindi utilizza l'intelligenza artificiale per estrarre da essi parametri vitali, indicatori clinici e biomarcatori. È una delle 45 startup che Smau, in collaborazione con l’Istituto del Commercio Estero, ha portato in California per creare un ponte tra l'ecosistema italiano e quello della Bay Area e promuovere l’internazionalizzazione delle imprese innovative italiane.
Ingegnere meccanico di formazione, poi divenuto biomeccanico grazie a un dottorato allo University College of London, Giulia Di Tomaso è anche quel che si dice un “cervello” ritornato in patria. «Dopo Londra sono andata a fare un post-doc negli Stati Uniti dove per Philips Research US sviluppavo sensoristica ottica non invasiva per stabilire il danno metabolico nei pazienti che hanno subito un arresto cardiaco». Finiti gli studi, è tornata a casa per riunirsi alla famiglia e per fare impresa qui.
«Quello che stiamo sviluppando - spiega Giulia di Tomaso - è una tecnologia per catturare il dato grezzo fisiologico del paziente, cioè quello generato dall'interazione tra i biosensori che in maniera non invasiva monitorano la loro attività fisiologica». L’obiettivo è sfruttare meglio questi dati per aiutare le aziende farmaceutiche e le strutture sanitarie a fornire la migliore terapia ai pazienti. Per far ciò, Heremos lavora a una tecnologia indossabile proprietaria, basata su biosensori di grado medico, che consente il monitoraggio continuo sia ospedaliero che ambulatoriale del paziente: tramite i biosensori, il sistema rileva diversi parametri vitali come ad esempio frequenza cardiaca e respiratoria, quindi li analizza in maniera intensiva utilizzando tecniche di machine learning e algoritmi proprietari grazie a cui riesce anche ad estrarre nuovi biomarcatori.
Due sono gli studi clinici attivi cui attualmente sta lavorando il team di Heremos. «Il primo è uno studio finanziato da Sofad e Farvima, dove 45 apparecchi indossabili vengono utilizzati per valutare l’aderenza terapeutica nei pazienti affetti da BroncoPneumopatia Cronica Ostruttiva». L’altro studio, che si svolge presso il Policlinico dell'Università Campus Biomedico di Roma ed è stato finanziato da Invitalia tramite il programma Smart&start, riguarda invece il dolore nocicettivo: «Il dolore nocicettivo è la reazione del corpo al dolore acuto da taglio, ma anche un dolore che può avere un paziente sotto terapia chemioterapica e che è diverso da quello cronico». Allo stato attuale, Heremos sta «terminando quella che è
l'industrializzazione di prodotto con l'obiettivo di essere pronti alla certificazione per la fine di quest'anno».
Infine, un altro aspetto interessante del sistema di telemonitoraggio sviluppato da Heremos è che esso valorizza molto più che in passato il dato grezzo registrato dai biosensori indossabili, cioè quello che viene in genere viene scartato e cancellato dopo che questi apparecchi per la telemedicina, teleassistenza, telemonitoraggio lo hanno utilizzato per definire parametri vitali come la temperatura, il battito cardiaco, il ritmo respiratorio e altro ancora. «Stiamo sviluppando un sistema per avere il controllo sull’intera filiera di produzione del dato, dall'interazione tra il sensore e ciò che misura fino all'estrazione dell'informazione dai dati aggregati» - spiega ancora la CTO di Heremos - Solitamente il dato grezzo viene buttato via perché gestirlo è costoso in termini di risorse di calcolo e di storage, ma noi puntiamo a recuperarlo» portando l’analisi dei big data all'interno del monitoraggio ospedaliero.
*Giornalista, esperto di innovazione e curatore dell’Osservatorio Intelligenza Artificiale ANSA
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