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Se l’IA “ruba la scena” agli attori

Il sindacato degli artisti britannici ha lanciato la campagna “Stop AI Stealing The Show”, per regolamentare l’uso dell’intelligenza artificiale nell’industria dell’intrattenimento

Se l’IA “ruba la scena” agli attori

Redazione Ansa

Di Alessio Jacona*

Equity, ovvero il sindacato che riunisce oltre 47mila attori, cantanti, modelli, performer, registi, coreografi, designer, direttori di scena e altri lavoratori creativi nel Regno Unito, ha lanciato un appello affinché l’intelligenza artificiale “smetta di rubare la scena” ai professionisti della recitazione.

 

Non è uno scherzo, né tantomeno il capitolo dell’ennesimo romanzo di fantascienza distopico: come riporta anche la BBC, Equity esprime preoccupazione per il modo in cui tramite l’IA sia possibile utilizzare automaticamente campioni della voce o del volto di un attore per generare contenuti di vario tipo, tra cui anche i cosiddetti "deep fakes". In questo modo, sostiene l’associazione, le tecnologie basate su IA stanno progressivamente sostituendo gli attori in molti contesti, di fatto mettendo a rischio la professione.

 

Il problema non sembra essere la tecnologia in sé, ma come al solito l’uso che se ne fa: molti attori, infatti, collaborano già con aziende per creare sistemi che possono generare voci fuori campo artificiali o "avatar" digitali, da utilizzare ad esempio nei videogiochi per rendere i personaggi non giocanti (PNG) più credibili, nella realizzazione di audiolibri tramite lettura automatizzata o, ancora, per la creazione di avatar digitali di qualità fotorealistica, già oggi capaci di “recitare” senza l’intervento umano. Il problema nasce se e quando le loro immagini e voci vengono usate senza il consenso, o peggio senza ricevere un compenso.

 

«L'uso dell'Intelligenza Artificiale è cresciuto rapidamente nell'industria dell'audio e dell'intrattenimento negli ultimi anni, dagli audiolibri automatizzati agli assistenti vocali, dai video deep fake agli strumenti di text to speech» si legge sulla pagina dedicata alla campagna “Stop AI stealing the show”, sul sito del sindacato, che però sottolinea anche come «la legge britannica sulla proprietà intellettuale non è riuscita a tenere il passo, e ciò sta portando allo sfruttamento degli artisti».

 

Da una ricerca commissionata da Equity tra i suoi associati emerge ad esempio che il 79% degli artisti che hanno lavorato a un progetto basato su intelligenza artificiale pensano di non aver compreso appieno i loro diritti (come stabilito dal Copyright, Designs and Patents Act del 1988) prima di firmare il contratto. Molti di loro riferiscono anche che ai perfomer viene chiesto di firmare accordi di non divulgazione senza che abbiano la minima idea di ciò che l’incarico comporterà.

 

Diverse le testimonianze di abusi emerse nel corso della ricerca commissionata da Equity: tra le più significative, quella della doppiatrice canadese Bev Standing, che ha fatto causa - vincendo - a ByteDance, l’azienda che ha creato TikTok, per l’uso non autorizzato della sua voce.

 

La storia è questa: tre anni fa la Standing registra l’audio di circa 10.000 frasi per l'Institute of Acoustic cinese da usare nelle traduzioni. Qualche anno dopo, la doppiatrice scopre però che la sua voce viene utilizzata senza autorizzazione da TikTok in una nuova funzione che

converte automaticamente il testo scritto in parlato, e che viene presto usata in video virali dove gli utenti fanno “leggere” alla sua versione digitale un po’ di tutto, incluse parolacce e oscenità. «La paura di opporsi a un’azienda multi-miliardaria era molta - spiega la Standing - ma dovevo difendere i miei diritti, e alla fine abbiamo trovato un accordo».

Ora Equity chiede a gran voce che il Governo britannico riveda e aggiorni la legge sui copyright, in modo che essa tuteli la professionalità dei suoi artisti. Un compito non facile, visto che si tratta di normare aspetti del tutto nuovi e in rapidissima evoluzione, mentre nuove stanno trasformando il settore in modi ancora difficili da comprendere. Il tutto, con il rischio di prendere provvedimenti non efficaci o, peggio, che possano limitare o bloccare l’innovazione.

 

*Giornalista, esperto di innovazione e curatore dell’Osservatorio Intelligenza Artificiale ANSA.it

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