Gli anni di piombo tornano in un'aula di giustizia. La Corte di assise di Alessandria processerà due capi storici delle vecchie Brigate Rosse, Renato Curcio e Mario Moretti, e un ex militante dell'organizzazione, Lauro Azzolini, per una sparatoria che il 5 giugno 1975, alla Cascina Spiotta (a una cinquantina di chilometri dalla città piemontese), costò la vita a un appuntato dei carabinieri, Giovanni D'Alfonso.
Lo ha stabilito un gup del tribunale di Torino, che ha disposto il rinvio a giudizio degli ormai ottuagenari compagni al termine dell'udienza preliminare. Il dibattimento si aprirà il 25 gennaio 2025 ed è possibile che si concluda, in primo grado, intorno allo scoccare del mezzo secolo dal giorno del fatto.
"Sebbene sia passato tanto tempo - commentano due degli avvocati di parte civile, Guido Salvini e Nicola Brigida - la decisione del giudice è importante per capire cosa avvenne quella mattina. E' un processo che esprime non un desiderio di vendetta, ma di verità e di giustizia".
Gli imputati in realtà erano quattro ma uno di loro, Pierluigi Zuffada, oggi è stato prosciolto perché l'accusa di "concorso anomalo nell'omicidio", così come era stata confezionata dai pubblici ministeri, è caduta in prescrizione. I difensori dei superstiti, invece, promettono battaglia. Il più agguerrito è il legale di Azzolini, Davide Steccanella, che da mesi segnala valanghe di presunte violazioni nella procedura e che dopo il rinvio a giudizio si affida a una metafora manzoniana: "E' evidente che la storia, qui a Torino, è al contrario delle nozze fra Renzo e Lucia: quel matrimonio non s'aveva da fare, mentre questo processo s'ha da fare. Nonostante sia del tutto nullo".
Alla Cascina Spiotta carabinieri e brigatisti si fronteggiarono ad armi spianate durante il blitz che portò alla liberazione dell'imprenditore vinicolo Vittorio Gancia, sequestrato il giorno prima. Sul terreno, mortalmente ferita, rimase anche Mara Cagol, moglie di Curcio, ma di questo il processo non si occuperà. Il fascicolo, del resto, è stato aperto per iniziativa di Bruno D'Alfonso, figlio dell'appuntato e a sua volta carabiniere in congedo, che nel dicembre del 2021 presentò un esposto chiedendo di dare un nome e un volto a un brigatista che riuscì a fuggire e non fu mai identificato.
Ora la Dda del Piemonte ritiene che si tratti di Azzolini: sue sarebbero le impronte sul 'rapporto' vergato da una mano anonima sui fatti della Spiotta a uso interno delle Br. Ma gli inquirenti si sono spinti più in là. Hanno individuato in Zuffada il 'postino' che fece recapitare all'avvocato dei Gancia la richiesta di riscatto. E hanno indicato in Curcio e Moretti, in qualità di "esponenti apicali dell'associazione terroristica", gli organizzatori del sequestro. Qui le difese obiettano che, alla luce di come era configurata la rete delle vecchie Br, la circostanza è impossibile.
Quanto ad Azzolini, fu prosciolto in istruttoria nel 1987 (la sentenza però non si trova più). Resta ancora un nodo sull'ammissibilità delle intercettazioni disposte a suo carico: a scioglierlo dovrà essere la Corte di Alessandria.
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