Cultura

"Nata nel cuore di una festa", il ritmo festoso di una vita all’insegna del più sincero amore

NEW LIFE BOOK

“Con la voglia matta di trasgredire ci sono nata. Quando sono venuta al mondo mia mamma festeggiò con le amiche il mio arrivo e nel momento della mia nascita urlarono in coro: “Cin cin”, bevendo vino rosso come fosse acqua. E mamma mi raccontò che io ridevo con loro, è tutto vero! Sono nata tra donne fuori di testa.” È questo l’incipit di Nata nel cuore di una festa, il nuovo romanzo di Lucia Linardi, pubblicato per il Gruppo Albatros il Filo. La femminilità che emerge da questa immagine iniziale è chiara e marcata: già il primo quadro non ci restituisce un’immagine sofferente, il parto non è raccontato come un momento traumatico e straziante, bensì come il gioioso baccanale di una nuova vita che viene donata alla luce. Allegoria dell’intero genere femminile, le donne di Linardi non sono accomunate unicamente dalla condivisione del dolore, ma da un riso ancestrale e profondo capace di alterare in chiave positiva il senso della realtà.

La protagonista che scandisce i passi di questa danza festosa non ha un nome: Sciamana, è così che la chiamano gli altri, per la sua capacità di ascoltare e raccontare storie, ed è con questo nome che si presenterà all’uomo con cui il percorso della sua vita si intreccerà fin quasi a confondersi. I due sono uniti da un legame più antico della loro stessa conoscenza, una congiunzione di anime che si riconoscono appena si incontrano nei loro abiti di carne, nel dispiegarsi di un tempo senza tempo. Canta, l’autrice, un amore sapiente e già conosciuto, animato da nessun’altra legge se non quella dell’attrazione, in una dimensione totale in cui il resto scompare.

La connessione del singolo con il tutto è uno dei mantra dell’opera, la quale si ispira fortemente alle filosofie orientali. Essa trascende il senso stesso del romanzo per diventare, piuttosto, un’esperienza sensoriale e animica nella quale perdersi e lasciarsi cullare. La donna diventa uno strumento di comunicazione, il medium che rappresenta l’anello di congiunzione tra il terreno e ciò che invece è altro, raccontandolo nelle sue storie in una visione più o meno metaforica. Non sempre, però, questo messaggio olistico viene compreso dai molti, è per questo che Sciamana afferma di conoscere grandemente la solitudine, pur trovandosi spesso in mezzo agli altri. Nemmeno la stessa solitudine, nella narrazione della donna, riesce tuttavia a essere presentata in un’accezione negativa: l’esperienza ha fatto sì che questa diventasse una sorella, una presenza di cui non aver paura, ma da saper abbracciare, perché essa concede il permesso di rimanere in compagnia di sé stessi.

Migrando da una vita all’altra, nella mimesi perfetta che Sciamana riesce a operare con le donne che incontra attraverso il dialogo, vengono snocciolati i punti più rappresentativi dell’esperienza femminile: le difficoltà che può comportare la comunicazione con gli uomini, il matrimonio, la maternità, ma anche e soprattutto la libertà di potersi esprimere in una società che tende a indirizzarne le scelte, in maniera più o meno manifesta. Nel legame con il suo uomo, la protagonista tramuta in accezione positiva tutto il negativo che riceve dall’esterno: non è il frutto di sortilegi o fantasticherie, al contrario è un esempio concreto della forza di una comunicazione amorosa, di cui nessuna briciola deve essere dispersa. “Quanto amore sprechiamo”, questo il mantra che la protagonista ripropone a sé stessa ogni volta che incontra la disillusione di un’amica o di una confidente nei confronti di questo sentimento ancestrale.

Nella sua perenne interrogazione interiore, è da sottolineare un passaggio prezioso in merito alla dispersione dell’amore: “Ogni mattina si chiedeva con molta coscienza: “Quanto amore spreco oggi? Quanto ne ho sprecato durante la mia vita? Quanto amore si spreca nel nostro piccolo mondo e nel grande mondo? E dove va a finire tutto questo amore sprecato?” Questo spreco si riversa nell’odio, nella paura, nel conflitto, nella competizione, nella rivalità. Lo vediamo quando siamo delusi, aggressivi, orgogliosi, pieni di giudizi, di invidie, di gelosie assurde e poi tradiamo gli altri per tutelare noi stessi e i nostri interessi. Lo vediamo nel potere, nella politica, nella finanza, nel lavoro, nelle famiglie e nelle amicizie… Di quanto dolore abbiamo bisogno ancora affinché tutto questo spreco finisca per offrirci reciprocamente e gratuitamente il nostro splendore umano?”

Emerge in queste parole il bisogno di non lasciare che nessun frammento d’amore vada perduto o sprecato: le sue manifestazioni possono essere molteplici, e in una relazione romantica, come quella tra Sciamana e Mosè, è importante che il fuoco della passione non diventi un incendio sconsiderato che esaurisce in breve tempo tutte le risorse a disposizione, al contrario è bene che venga alimentato con cura e sapienza nel lungo periodo, affinché, come sottolinea la donna stessa, il passare del tempo e la scelta del matrimonio non diventino “la tomba dell’amore”, ma un modo di accrescere la pienezza di sé in un incontro che preservi una linea di intrigante mistero, allo stesso tempo confortante e passionale. La sua è una narrazione che tende a scardinare i dogmi del sacrificio e della rinuncia all’interno della vita di coppia: conservare i ritmi, gli spazi e le abitudini del singolo possono portare un incredibile giovamento alla relazione, ma soltanto se si è pronti a destrutturare le impalcature mentali a lungo sedimentate nella nostra cultura. Sciamana e Mosè, infatti, scelgono addirittura di non condividere la stessa camera da letto, per conservare ciascuno il proprio nido, una zona franca e sicura in cui far accedere l’altro per volontà e non per abitudine.

Uno scalino dopo l’altro, l’autrice conduce il suo lettore verso una conoscenza più profonda di sé, rimuovendo strato per strato gli indolenti veli dell’abitudine, delle convenzioni che sembra impossibile poter scardinare. Nel vivere semplice proposto dall’autrice è evidente che lo stesso concetto di possesso sia tanto inconsistente quanto radicato nella nostra mente, al punto da renderci avidi, gelosi e alle volte persino violenti, pur di difendere il monopolio su ciò che in realtà mai ci è appartenuto. Non è un percorso semplice, questo è fuor di dubbio: Sciamana stessa continua giorno per giorno il suo viaggio di evoluzione e in questo è fondamentale ancora una volta l’incontro con un personaggio salvifico, dal nome parlante, la Curandera.

Nata nel cuore di una festa è un’opera animata dal più alto senso del vivere libero, sciolto dai condizionamenti e dalle pressioni non connaturate al nostro stare sulla Terra, ma al peso delle aspettative e dell’immagine che intendiamo restituire di noi a noi stessi, prima ancora che agli altri. È un invito, pertanto, ad ascoltare e accogliere il proprio vero sé, muovendo i primi incerti passi in un mondo che si manifesta nuovo dinnanzi ai propri occhi, se soltanto si riesce a destare lo sguardo dell’anima. Con esempi concreti Lucia Linardi propone quasi un’iniziazione a un’esistenza più autentica, nel rispetto delle leggi karmiche e della consapevolezza, per rischiarare lo sguardo di chi subisce o addirittura opera il male senza averne coscienza. Travolti da questo inno di amore senza tempo e confini, basta chiudere gli occhi e lasciarsi trascinare nella danza festosa della nascita e ancor più della rinascita.

 

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