Cultura

“Anche là tramonta il sole”, un viaggio interiore tra le ombre del passato e la luce della rinascita

NEW LIFE BOOK

“Seb si rese conto che doveva necessariamente uscire da quell’incubo. Era giunto al termine, alla fine di un mondo costruito sui sogni scaturiti da un vissuto intenso ed equi­voco. Sentiva di dover superare la fine di un percorso, ma non riusciva a capire come potesse farlo o potesse risorgere, eppure, per la prima volta, il profumo maturo dell’estate gli infondeva linfa vitale e gli dava speranza, coraggio”, scrive Guglielmo Guzzo per raccontare le emozioni contrastanti di Sebastiano, il complesso e introspettivo protagonista del romanzo “Anche là tramonta il sole” (Europa Edizioni, 2024). Trascorre le sue giornate tra i boschi e dorme in una capanna, si procaccia il cibo con arco e frecce, legge splendidi romanzi e cova dentro di sé un profondo desiderio di redenzione, di riconciliazione con i suoi affetti e con le sue origini. 
L’autore Guglielmo Guzzo racconta un mondo e un tempo che conosce da vicino: nato a metà del secolo scorso nell’entroterra calabrese, si laurea in Medicina e Chirurgia a Roma durante gli anni di piombo, mantenendo sempre un legame con le proprie radici calabresi. Nel suo romanzo si svela soltanto in maniera marginale l’origine del protagonista, dettaglio che permette alla storia di essere recepita più facilmente in tutto lo Stivale. Non c’era famiglia, al tempo, che non conoscesse l’emigrazione, che non subisse gli effetti dello spopolamento delle campagne e della scomparsa della mezzadria. 
Tornato nel luogo della sua infanzia dopo molti anni, Seb si immerge nei ricordi di un tempo più semplice, ma anche doloroso, quando costruiva castelli di sabbia e sognava un futuro diverso. Figlio di una società contadina che ha poco da offrire ai suoi figli, ancora bambino vede partire la sorella e il fratello maggiori per una terra lontana, lasciandosi tutto il passato alle spalle. Si consolida, così, il rapporto con la madre, una donna che non ha mai potuto scegliere per sé stessa e che si ritrova, pertanto, profondamente infelice. Il protagonista del romanzo vive di un’ingenuità splendida e struggente, che poco si addice ai drammi della quotidianità dura e faticosa del mondo contadino degli anni Sessanta, priva persino delle comodità che reputiamo più scontate: niente elettricità o acqua corrente, attorno soltanto orti e boschi per provvedere a sé stessi e poco altro. Grazie ai regali del suo maestro comincia a sviluppare un amore profondo per la lettura e la scrittura, mentre il suo desiderio di libertà lo porta sempre più spesso a vagare nella natura, con la quale sviluppa una connessione profonda, ancestrale. 
La natura non è semplicemente uno sfondo scenografico, un paesaggio bucolico che accompagna l’azione, ma si manifesta come specchio dell’interiorità del protagonista. Nella natura, il protagonista ricerca una consolazione, un rifugio per il dolore che la sua vita adulta gli ha inflitto. Sono gli anni di piombo, gli anni della contestazione giovanile, e lui, lasciato a sua volta la propria terra di origine, si impegna con tutto sé stesso per studiare, lavorare e costruirsi un futuro migliore, nonostante le condizioni di salute precarie. La natura si trova al polo opposto di questo tumulto, così sebbene durante l’infanzia rappresentasse un’alleata fedele e incrollabile, quando la ritrova da adulto si manifesta in tutta la sua ambiguità, mutevole e irrefrenabile. Potremmo intendere la capanna nei boschi, che Seb costruisce con tanta dedizione da bambino, come un moderno locus amoenus, un rifugio di pace in cui l’uomo può entrare in comunione con la natura. Ormai la capanna è in rovina, assorbita in larga parte dal bosco e in questa trasformazione si rispecchia il mutamento interiore del protagonista: non è la capanna a tradire Seb, ma piuttosto è lui stesso a rendersi conto di essere cambiato al punto da non poter più trovare la pace che cercava. 
La descrizione della vita contadina, dura, talvolta spietata e inflessibile viene addolcita dal legame del protagonista con la madre, la quale non ha mai smesso di riporre le sue speranze nel figlio minore, dopo aver visto partire, impotente, i due maggiori. È ben consapevole della predisposizione del giovane per lo studio, la letteratura e la poesia, certa che avrà un futuro migliore di lei, che ha sacrificato ogni cosa per vedersi sfiorire giorno dopo giorno davanti alla crudeltà dello specchio. Nella natura, nella madre e nell’amore che Seb conoscerà nel tempo si annida un senso del materno mutevole e incessante, in cui la brillantezza dell’infanzia lascia il passo a colori forse più spenti, ma dalle sfumature più visibili. Il simbolismo di Guzzo è sofisticato e denso di significati: ogni elemento naturale o oggetto quotidiano assume una dimensione simbolica che va oltre la semplice funzione narrativa. Attraverso di essi si delinea il percorso di Seb attraverso i corridoi del tempo, segno di una vita in cui è possibile guardare indietro soltanto con nostalgia
Seb sembra rimanere sempre in un luogo sospeso: pur essendosi allontanato per frequentare l’Università nella Capitale, il suo cuore rimane sempre lì, nei luoghi magici dell’infanzia che spera, un giorno, di poter ritrovare. È una storia del secolo scorso che però parla alla nostra sensibilità di oggi, dove sono ancora tanti i giovani costretti a lasciare la propria terra per cercare una vita migliore e costruire il proprio futuro. Alcuni potranno riconoscersi maggiormente nella nostalgia del protagonista, altri nella cesura netta dei fratelli o persino nel dolore della madre, ma una cosa è certa: il romanzo di Guzzo racconta una delle pagine più tumultuose della nostra storia recente, fatta di cambiamenti radicali e di passioni forti, con la maestria di un ammaliatore di serpenti.
Cuore pulsante dell’esperienza da giovane adulto del protagonista è l’approccio a una vita di responsabilità, in cui è contemplato anche l’amore romantico. Le paure e le insicurezze legate allo studio lasciano talvolta il passo a feste sfrenate che incarnano tutto un altro volto della libertà, quello della metropoli e degli eccessi, ma nonostante la vita da studente universitario, è sempre alla natura che ritorna il cuore del protagonista, ed è in questo contesto che si imbatterà nella donna che saprà infondergli un nuovo senso di serenità e speranza.
Il tormento che ha vissuto, la lotta interiore contro l’orgoglio, l’astio e le recriminazioni, sembrano lasciare spazio alla consapevolezza che l’unico modo per superare il dolore è affrontarlo senza più fuggire. Seb non può più sottrarsi alla realtà che lo circonda, eppure avverte una sottile speranza risorgere in lui: il vento che soffia tra gli alberi e la pioggia che scroscia suggeriscono un ciclo di rinnovamento, come se la terra stessa gli stesse offrendo una possibilità di rinascita. La pioggia e il fuoco purificano il passato e lo traducono in qualcosa di nuovo, segno che, dopo ogni tempesta, c’è la possibilità di un nuovo inizio. Eppure la conclusione del suo percorso non è del tutto risolta. Il vuoto che sente dentro di sé, la perdita delle illusioni e dei sogni infantili, non possono essere semplicemente colmati dalla speranza. Dovrà ancora sbagliare, forse cadere, ma sa anche di essere pronto a scoprire chi è davvero, libero dalle aspettative altrui e dalle false promesse di una vita che non gli appartiene più. In un ultimo sguardo al cielo, Seb accoglie il tramonto come chiusura di un capitolo. Non è un finale facile, né felice, ma è una conclusione necessaria. La natura riprenderà il suo corso e così farà il protagonista, il sole tramonta, ma allo stesso tempo prepara il terreno per un nuovo giorno, per una nuova luce che sorgerà. E così, mentre la notte avvolge ogni cosa, Seb comprende che, per trovare sé stesso, deve perdersi nel buio prima di rinascere nella luce del nuovo mattino. 

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