Immaginate di vivere sotto una luce obliqua, una di quelle che sfiora appena l’orizzonte, facendo sembrare eterno il crepuscolo. Una luce che non riscalda, ma illumina ogni angolo di ciò che vorreste nascondere, e vi costringe a fare i conti con tutto ciò che avete abbandonato.
Nadia Bellini ci porta in un angolo della Danimarca, a Skagen, una cittadina che sembra riflettere perfettamente lo stato interiore della protagonista, Aleisia, con il suo paesaggio malinconico investito dalle luci del nord. Alesia, perfetta protagonista femminile della letteratura contemporanea, si trova a camminare sul filo del rasoio della propria identità, smarrita in un mondo dove il bene degli altri diventa una missione che la allontana progressivamente da sé stessa. Bellini ci guida con cura tra le pieghe dell’animo della protagonista, a conoscerne le ferite senza provare a lenirle o a screditarle, ma a osservarle con gentilezza. Aleisia è un personaggio che si lascia avvicinare solo gradualmente, è lei stessa a dettare il ritmo della narrazione. L’autrice non forza mai la mano, non impone giudizi né tenta di giustificare la scelta della protagonista. Invece, ci invita a sentirne il peso, ad accogliere senza condannare. Questa forma di empatia letteraria è complessa, poiché Bellini non ci chiede di identificarsi con la scelta esteriore di Aleisia, ma di comprenderne il dolore, perché sebbene muti nella forma, appartiene a ciascuno di noi. Scorre tra le pagine una sottile delicatezza che fa spazio all’umanità della protagonista, rendendo ogni sua sofferenza e ogni sua scelta parte di un dialogo silenzioso e profondo, in cui è l’empatia l’unico strumento per provare a conoscere.
Lontana da tutto e da tutti, Aleisia può ricominciare. Un nuovo approccio alle persone, al lavoro, a sé stessa le permetteranno di riscoprirsi autentica, non più coperta dalla maschera che sentiva di avere abilmente costruito negli anni. Tra gli incontri più significativi c'è quello con un poliziotto, conosciuto nel pub dove lavora di notte. La relazione che si instaura tra loro è priva di retorica, fatta di silenzi, complicità e non detti, come se entrambi riconoscessero nell’altro una ferita simile. Lui non giudica, non chiede, non forza alcuna confessione, anzi, è una presenza rassicurante proprio perché invece di cercare di cambiarla, le offre uno spazio in cui esistere senza pressioni. Lo stesso varrà per il figlio dell’uomo, affetto da autismo, con il quale stringerà un rapporto di amicizia e fiducia che valica il confine delle parole.
La costruzione narrativa di Nadia Bellini è sobria ed essenziale, una scrittura solida che, come un paesaggio nordico, non cerca mai di sovraccaricare il lettore di ornamenti, ma lo conduce direttamente al cuore, alle emozioni più pure. Le descrizioni del paesaggio, seppur brevi, evocano una bellezza rarefatta che fa da specchio alla solitudine della protagonista. La costruzione dei dialoghi riflette la stessa abilità: non servono tanto a svelare il pensiero, quanto a suggerire ciò che rimane nascosto. Tutto ciò che non passa attraverso la relazione tra i personaggi arriva al lettore attraverso il ricordo, o attraverso le pagine del quaderno di Aleisia. Ma non è tutto: in un gioco di specchi che permette di osservare la realtà da varie angolazioni – perché essa, dopotutto, è costruita da tante verità individuali – dà la parola anche agli altri personaggi. Attraverso la loro voce costruiamo un quadro più complesso e stratificato, grazie al quale entriamo in contatto con il passato della protagonista e con l’immagine che restituisce di sé nel suo presente.
La storia di Aleisia, spiega Nadia Bellini nell’introduzione al romanzo, è la metafora che concretizza il sentire di tante donne, che continuano a sentire su di sé non solo il peso della propria vita, ma anche di quella degli altri. Pur non essendo un racconto autobiografico, l’autrice sottolinea che: “Passo dopo passo ho tentato di spiegare l’inquietudine di una donna come me, una fra tante, che in un momento di particolare fatica non chiede aiuto pensando di farcela da sola e rischia di crollare per non arrendersi. Non è facile in famiglia, pur volendosi bene, arrivare ad esprimere quello che abbiamo dentro. Non troviamo il coraggio di mettere davvero a nudo le nostre debolezze perché ce lo impediscono il pudore e l’orgoglio, creando una naturale difesa della nostra dignità”.
Sarà necessario un forte scossone affinché Aleisia decida di tornare alla vita, che non necessariamente significa ricongiungersi con la sua esistenza precedente. è l’inizio di una rinascita che la afferra da dentro e le restituisce il sorriso, la voglia di lavorare su di sé. Non mancheranno le delusioni, ma esse sono il sintomo di una vita che torna prepotentemente a fiorire e portare frutti.
Il rapporto con l’amore della protagonista sa essere conflittuale, ambivalente. Da una parte c’è l’amore romantico, quello che ha vissuto nel passato con il marito, un legame che sembrava promettere stabilità e calore, ma che con il tempo è diventato soffocante, incompreso, incapace di resistere alla vita quotidiana. Dall’altra, emerge un amore più profondo e viscerale, quello quasi cristologico che la spinge a lasciare il marito e i figli non per egoismo, ma per il loro bene. La voce interiore di Aleisia ci porta in profondità, in una riflessione intima su cosa significhi amare e prendersi cura, fino a chiedersi: è possibile trovare sé stessi solo attraverso il sacrificio per gli altri? Il suo è un percorso di dolorosa maturazione, un amore che ferisce e salva allo stesso tempo, e che apre una riflessione necessaria sul senso della responsabilità.
La storia racchiusa tra le pagine di “Il bene degli altri” è un delicato equilibrio tra fuga e ricerca, tra un amore che consuma e uno che restituisce nuova vita. Davanti alla storia di Aleisia, Bellini non cerca risposte facili né soluzioni definitive: la donna cerca sé stessa attraverso gli altri e noi, da lettori, intraprendiamo lo stesso viaggio attraverso di lei, in un processo aspro, mai lineare. Il suo sacrificio, per quanto doloroso e controverso, non è mai un atto di debolezza. Al contrario, è una decisione maturata nella consapevolezza di quanto l’amore possa richiedere il massimo dell’abnegazione. Ma in questa abnegazione c’è anche un paradosso: Aleisia si illude che, sparendo, possa risolvere i problemi degli altri, ma la sua fuga non fa che evidenziare la fragilità del suo equilibrio. Alla fine, il dono più grande che Aleisia può fare a sé stessa e agli altri non è la sua assenza, ma la sua vulnerabilità. E, come ci ricorda Bellini, solo quando ci si espone al dolore e alla bellezza della vita, si può davvero iniziare a rinascere.