Viviamo in un tempo rapido, frenetico, in cui la ricerca del piacere immediato sembra avere sostituito la felicità più vera e profonda. Bersagliati dal continuo rumore di fondo della società usa e getta del consumo e dei social network, troviamo sempre meno tempo da dedicare all’ascolto, al silenzio in cui la coscienza decanta e il pensiero si eleva.
Nel libro “La gratuità e la libertà interiore” (Europa Edizioni, aprile 2024), Luciano Mazzocchi raccoglie i fondamenti del suo pensiero e lo suddivide in due ampie sezioni, una di decostruzione delle convinzioni fino a quel momento acquisite, l’altra di ristrutturazione, volta ad acquisire un nuovo sguardo sul mondo e sull’esistenza. Chiude l’opera un’ampia postilla che affronta tematiche di varia natura, le quali possono essere meglio interiorizzate soltanto dopo aver letto le prime due sezioni. Scandiscono il tempo le meditazioni, che toccano i temi della relazione, dell’anima, della conoscenza e della coscienza, senza mai perdere di vista lo sguardo sulla fede.
Luciano Mazzocchi, ordinato sacerdote nel 1962, viene inviato missionario in Giappone l’anno seguente, dove entra in contatto con il Buddhismo Zen. Tornato in Italia partecipa agli incontri di alcune comunità buddhiste, per poi fondare un centro, nel 1994, in cui chiunque ne senta il richiamo può praticare la via dello Zen e la via del Vangelo come una sola via. Nel 2008 fonda l’Associazione “Vangelo e Zen”, la cui missione è far confluire, sul piano personale e sociale, i valori spirituali e culturali che impregnano tanto la tradizione cristiana quanto quella buddhista. Mazzocchi si propone di sfatare, così, i falsi miti che nell’opinione comune fanno percepire Cristianesimo e Buddhismo siano due religioni e pratiche spirituali profondamente distanti, se non inconciliabili. L’autore ritiene infatti che entrambe le tradizioni, quando vissute autenticamente, non siano ristrette a una teologia rigida, ma invitino il praticante a un’esperienza diretta della verità spirituale.
Un altro mito è che il Cristianesimo si basi su un rapporto diretto con un Dio trascendente, mentre il Buddhismo è radicato in una visione ateistica e immanente del mondo. Secondo Mazzocchi, questa distinzione non rende giustizia alla complessità delle due tradizioni. Egli sottolinea che, mentre il Vangelo porta al riconoscimento di un Dio amorevole che opera nel mondo, lo Zen conduce alla scoperta del “nulla” o del vuoto, che non è affatto una negazione dell’essere, ma piuttosto un campo di potenzialità infinita. Entrambe le tradizioni, dunque, esortano a trascendere il proprio ego per abbandonarsi a una realtà più grande.
Il Vangelo e lo Zen si integrano nella vita spirituale dell’autore anche attraverso il concetto di gratuità, centrale nella riflessione dell’opera. Nel Buddhismo Zen, la gratuità si esprime nell’idea che ogni cosa esiste senza uno scopo definito, come l'acqua che scorre spontaneamente. Nel Cristianesimo, questa stessa idea è incarnata nel sacrificio eucaristico, dove la vita è offerta senza condizioni. Entrambe le tradizioni, dunque, invitano a vivere senza aspettative di ricompensa, abbandonandosi completamente alla vita come dono.
Mazzocchi insiste nel ricordare che la vita sia un dono, e che ogni cosa – dalla natura umana alle relazioni – deve essere vissuta come tale, senza la pretesa di dominare o possedere, ma semplicemente di accogliere. Legata indissolubilmente alla gratuità, la libertà interiore viene descritta come una conquista possibile solo quando si riesce a spogliarsi del bisogno di controllo. Significa essere disposti a scalare le montagne dell’anima “a mani nude” – da qui la suggestiva metafora dello scalatore che ritroviamo già nel sottotitolo – cioè senza protezioni, senza armi, pronti ad accettare il vuoto e la mancanza di certezze. La libertà interiore permette di vivere senza l’assillo degli assoluti, che vengono smantellati uno per uno nel corso del libro: l’Io assoluto, la perfezione assoluta e il centro assoluto.
Gli assoluti, secondo Mazzocchi, rappresentano delle verità granitiche, delle certezze incrollabili che l’essere umano si costruisce per cercare sicurezza in un mondo caotico e imprevedibile. Tuttavia, queste certezze si rivelano delle prigioni, delle corazze che, anziché proteggerci, soffocano la nostra capacità di vivere in maniera piena e autentica. Quando gli assoluti crollano, spesso in seguito a una crisi, si raggiunge il punto di svolta, in cui l’individuo è costretto a confrontarsi con l’inconsistenza delle proprie certezze. Al crollo segue il vuoto, una sensazione che inizialmente spaventa ma che, con il tempo, si rivela fertile per la ricerca della verità. Sotto la corazza degli assoluti, scrive l’autore, c’è la carne viva.
Il cuore dell’opera ci rimanda sempre a una più piena e consapevole conoscenza della nostra esperienza terrena, un viaggio che affrontiamo senza guide o libretti di istruzioni, ma con un’unica bussola: la forza spirituale: “Sconcertato, stringo tra le mani nude lo sperone di roccia che è la concretezza del qui e ora. La mente freme anelando al vasto panorama della vetta, la volontà resiste e comanda un passo dopo l’altro lungo il sentiero scosceso. La mente e la volontà, reciprocamente, si mettono in croce. E, in croce, la mente e la volontà si salvano dal decadere l’una nell’evanescenza e nell’astrazione, l’altra nella dittatura e nel fondamentalismo. Ritto, stendo le braccia: “Io sono la croce”… Nel silenzio della croce, la grande presenza. Ormai la cima appare vicina. I vari opposti della vita, la materia e lo spirito, la mente e la volontà, la luce e il buio, la salute e l’infermità, il bene e il male e i tanti altri opposti hanno maturato reciproco rispetto mantenendo distinzione e distanza. Sì, l’uomo, pur convertendosi, rimane peccatore; pur peccando continua ad anelare alla santità. Ma chi sono io? Quando raggiungerò la vetta?”, leggiamo nel proemio, il cui protagonista è l’uomo, “lo scalatore a mani nude”, intento a non precipitare nell’ascesa del proprio percorso di conoscenza del sé.
“La gratuità e la libertà interiore” non è soltanto un esercizio di spiritualità, ma un’operazione semiotica sul significato dell’esistenza. Mazzocchi costruisce segni, simboli e metafore che sollecitano il lettore a interpretare, a interrogarsi, a scomporre e ricomporre le sue convinzioni. Non cerca di imporsi con dogmi, piuttosto invita a camminare tra le nuvole, a scalare la montagna della vita senza sicurezze o protezioni. Il suo stile, delicato e spesso contemplativo, è nei contenuti audace e sperimentale, nella misura in cui non teme di far collidere mondi apparentemente lontani. In questo, la scrittura di Mazzocchi si rivela essenzialmente ecumenica: non cerca di imporre un sistema, ma di aprire spazi di riflessione da cui far scaturire domande. Non esiste, infatti, una risposta: l’autore preferisce offrire frammenti, specchi che riflettono diverse sfumature della domanda stessa, in un continuo esercizio di ricerca ed elevazione. Il vero viaggio, dopotutto, non è verso un luogo, ma dentro sé stessi: è solo nel vuoto e nella gratuità della vita che possiamo davvero dirci liberi.