Venticinque vite sono quelle che potrebbero abitare un piccolo condominio. Per chi vive in una grande metropoli, forse addirittura su un solo pianerottolo, oppure una classe di scuola. È un campione di individui ridotto, ma al cui interno si incontra una umanità cangiante, complessa e mai uguale a sé stessa, un tripudio di singolarità sempre pronte a sorprendere. L’autore Gianni Albertini, fisico marchigiano, tra le pagine del suo “Romanzo alfabetico” (Gruppo Albatros il Filo, maggio 2024) scava tra i suoi ricordi e le sue esperienze e attraverso di esse condensa i suoi personaggi: sono racconti brevi, lanciati al lettore a ritmo di jazz, frammenti in cui ciascuno aggiunge una nota in una partitura complessa, ricca di riflessioni e di rimandi filosofici. E proprio come in una jazz session, in cui ogni strumento ha il suo momento per suonare, il romanzo si apre e si sviluppa in un crescendo di emozioni, fino a toccare corde che vibrano nel profondo dell’anima del lettore.
Albertini non ha paura di sperimentare. Lo si percepisce fin dalle prime pagine, dove, come in una partitura musicale, ogni personaggio sembra entrare in scena con un motivo, un tema che lo caratterizza e lo definisce. Ogni figura che Albertini introduce è il risultato di un’attenta analisi psicologica, di un’introspezione che trascende il singolo per raggiungere l’universale. E così, tra le pagine, emergono figure che, seppur inizialmente appaiano come simboli di idee o atteggiamenti, si trasformano lentamente in presenze vive e palpitanti. Artemide, Bergson, Carlo, Danilo, Erminia... ogni nome è il capitolo di un’enciclopedia dell’anima, un viaggio attraverso le emozioni umane e le loro molteplici manifestazioni. L'autore riesce a rendere i suoi personaggi tanto reali da sentirli parte di una comunità, come se ogni loro pensiero, ogni loro atto, facesse parte di una ragnatela invisibile che li lega e li unisce. È come se, in questa biografia emotiva, Albertini avesse voluto dare voce a tutte le sue esperienze di vita, a tutte le sue riflessioni filosofiche e scientifiche. Emerge, infatti, un sottile ma costante richiamo al suo passato accademico, alle sue conoscenze di fisica e biologia, che si fondono con la narrazione per creare una sorta di tensione tra scienza e letteratura, tra razionalità e intuizione.
I nomi dei personaggi sono parlanti, vale a dire che ne rispecchiano ed esaltano i tratti emblematici. Artemide, il primo incontro del lettore, evoca la dea greca della natura e dell’indipendenza e rappresenta un’esistenza libera, senza memoria o programmi, Bergson richiama l’omonimo filosofo francese, noto per le sue teorie sul tempo e sulla percezione della realtà, ed è l’esatto opposto di Artemide: quando le loro vite si intrecceranno, qualcosa cambierà per sempre per entrambi. Poi ancora Tullio, che rappresenta l’innocenza e il potenziale inespresso di chi non sa ancora chi è: un essere in divenire, privo di un senso di identità, un’anima che deve ancora formarsi; Xante, che gioca sul nome dell’isola greca di Zante e porta con sé il fascino dell’ignoto e del mistero; il pittore Walter che incarna la riflessione sull’arte e sulle percezioni, per il quale è fondamentale rappresentare non solo ciò che appare evidente, ma ciò che si cela sotto la superficie.
Nessuno dei personaggi è relegato unicamente al racconto che porta il proprio nome, anzi, uno degli aspetti più affascinanti dell’opera è proprio la relazione tra i personaggi, che permette loro di rileggere il passato e di costruire una nuova idea di futuro. La memoria per Albertini non è un semplice archivio di ricordi, ma un elemento vivo e pulsante, che continua a influenzare le scelte e le emozioni dei protagonisti. In questo senso, “Romanzo alfabetico” diventa anche una riflessione sul tempo e sulla sua natura. Il passato, nel romanzo, non è mai qualcosa di definitivamente superato: esso riemerge continuamente, si intreccia con il presente e ne condiziona il corso. E in questa continua alternanza tra passato e presente, Albertini sembra volerci suggerire che non esiste un vero e proprio confine tra ciò che è stato e ciò che è.
I personaggi di Albertini ci somigliano perché, se non in rari casi, fanno fatica a percepire la realtà nella sua complessità. Questa cecità simbolica attraversa l’intera narrazione, come un limite intrinseco dell’essere umano. Ogni personaggio, infatti, pur vivendo esperienze ricche e a volte straordinarie, è vincolato a una visione parziale e condizionata del mondo, una sorta di incapacità strutturale di cogliere il reale nel suo insieme. Molti dei personaggi sono intrappolati in schemi personali e culturali che li portano a osservare il mondo attraverso lenti distorte: è una visione frammentata che lascia nell’ombra ciò che sfugge alle loro convinzioni o desideri, come se questa cecità fosse, dopotutto, la metafora della condizione umana. Albertini illustra, attraverso le vicende dei suoi personaggi, il concetto che la verità resta in gran parte invisibile, nascosta nelle pieghe di ciò che non vogliamo o non riusciamo a riconoscere. La cecità diventa così un simbolo di isolamento, di un divario tra l’esperienza vissuta e la realtà oggettiva, e rivela l’incapacità dell’individuo di superare del tutto, nonostante i suoi tentativi, le proprie barriere interiori.
La narrazione di Gianni Albertini è poetica e filosofica, in grado di esplorare le sfumature emotive dei personaggi attraverso una scrittura evocativa e meditativa. È una sinfonia di voci organizzata in episodi distinti che, come tessere di un mosaico, combinano le proprie visioni parziali per delineare un’esperienza collettiva, dai tratti quasi onirici. Lo stile di Albertini incarna l’idea di una realtà sfuggente e multiforme. La struttura del romanzo in ordine alfabetico, poi, rappresenta forse il tentativo di portare un ordine nel caos dell’esistenza: ogni capitolo segue un sistema apparentemente rigido che, tuttavia, rivela un contenuto di grande varietà e libertà interpretativa. Ogni protagonista ha infatti una voce che riflette la propria individualità, le proprie paure e aspirazioni, per contribuire all’affresco polifonico dell’esperienza umana che si dispiega tra le pagine.
Scorrendo il dito lungo l’indice, però, ci accorgiamo che qualcosa non quadra. Dall’elenco dei capitoli manca una lettera, ma Albertini non lascia nulla al caso. Se ogni lettera rappresenta un archetipo, una sfaccettatura dell’esperienza umana, la scelta di ometterne una suggerisce una sottrazione, una lacuna da interpretare. L’assenza di questa lettera è un vuoto da colmare, l’eco di ciò che resta irrisolto o inespresso nella vita dei personaggi e nella rappresentazione della loro comunità. Questa omissione – che sarà adeguatamente svelata e spiegata nell’ultimo capitolo – si integra nella filosofia del romanzo e richiama l’idea che alcune parti di noi, che si tratti delle nostre storie o delle nostre emozioni, resteranno sempre inesplorate o volutamente messe da parte.
“Romanzo alfabetico” sfida il lettore a pensare, a fermarsi e riflettere su cosa significhi davvero essere umani, tra aspirazioni e contraddizioni. È un romanzo che non offre risposte facili, ma che ci spinge a porci domande, a cercare dentro di noi quelle verità che spesso preferiamo ignorare. Tra umanità, relazioni e momenti di solitudine, Albertini ci consegna la sua personale indagine sulla vita, che tocca corde profonde e suscita domande che restano sospese anche dopo la fine della lettura. In questa polifonia di esistenze, ogni personaggio è una scheggia di realtà che riflette l’universale: ciascuno rappresenta un’essenza, un frammento del mosaico dell’umano, ed evoca nel lettore la sensazione di sfiorare, quasi per caso, la vertigine dell’infinito.