Cultura

“Donne in attesa”, un romanzo in cui la vita si scrive tra memoria e futuro

NEW LIFE BOOK


Il tempo dell’attesa è quello in cui tutto è possibile: nulla è ancora accaduto, tutto può ancora essere. In esso sono racchiusi la preparazione e il desiderio, la visione e l’imprevisto, fino a diventare la lente attraverso cui ricercare il senso della vita, consapevoli del peso del passato, prima di partire spediti verso l’incertezza del futuro. Non si tratta di un’attesa banale, di un tempo vuoto, bensì di uno spazio interiore denso in cui riflettere, ricordare e cercare una riconciliazione con il proprio vissuto. Il romanzo “Donne in attesa”, prima opera di narrativa di Isabella De Carlo per il Gruppo Albatros il Filo, segue questa scia per creare un mosaico di emozioni che convergono in un dialogo collettivo sull’essere umano, inserendosi nel solco della letteratura psicologica e filosofica
I ricordi di Chiara, la protagonista, ci riportano a un’Italia devastata dalla guerra alle prese con la ricostruzione, dove gli echi della lotta partigiana continuano a risuonare nelle campagne. È una dimensione in cui la narrazione acquisisce colori morbidi, della stessa calda semplicità dei quadri del Segantini evocati dall’autrice. La casa dei nonni, il rifugio dell’infanzia della protagonista, diventa un microcosmo a sé stante, capace di trasformarsi in pochi anni da luogo di protezione a spazio di separazione, da memoria dolce a simbolo di perdita. De Carlo costruisce un’opera che dialoga con la grande tradizione letteraria, richiamando il realismo lirico di Elsa Morante e Natalia Ginzburg, ma al contempo traccia la propria cifra stilistica, con un linguaggio intimo, carico di dettagli sensoriali e riferimenti culturali che spaziano dalla poesia alla filosofia orientale. 
La protagonista di Isabella De Carlo è un prisma di fragilità e forza, su cui la luce si rifrange tra i frammenti di un passato spezzato e le ombre di una quotidianità cangiante. Gli “stacchi di regia” che ci riportano al presente la trovano in dialogo con Kilian Ross, uno psicanalista considerato da alcuni un filosofo e addirittura un mistico: con la sua presenza ieratica e il suo studio popolato di simboli – nuvole, tappeti orientali e antichi lumi – l’uomo diventa un Virgilio contemporaneo che guida Chiara nella selva oscura della sua interiorità. Le loro conversazioni, che alternano reminiscenze e riflessioni, rivelano il tessuto complesso della personalità della protagonista: una donna alla ricerca di senso in un mondo che troppo stesso l’ha privata di certezze.
De Carlo costruisce un romanzo che si muove su molteplici piani temporali attraverso l’uso sapiente del flashback, dialoghi interiori e scene che si alternano tra il passato e il presente, grazie ai quali riesce a esplorare molteplici temi. La morte della madre della protagonista diventa un evento cardine il cui impatto riverbera lungo tutto l’arco della sua esistenza, fino a diventare il seme di un conflitto identitario che si snoda lungo tutto il romanzo: Chiara è una donna in cerca di sé stessa, costretta a ricostruire continuamente la sua immagine. L’indagine sull’identità si intreccia strettamente con la memoria, che nel romanzo assume una duplice funzione: da un lato è un’ancora che trattiene Chiara al passato, dall’altro è uno strumento di rielaborazione, attraverso il quale la protagonista tenta di riconciliarsi con le sue esperienze. L’amore attraversa tutto il romanzo in molteplici declinazioni: l’amore filiale, idealizzato e perduto; l’amore romantico, che Chiara incontra e teme; e l’amore per sé stessa, forse il più difficile da raggiungere. È nel dialogo con il suo psicanalista che l’indagine sull’amore raggiunge il suo culmine, diventando una riflessione filosofica che supera il livello individuale per interrogare il senso più universale dell’amare e dell’essere amati.
Spesso i dialoghi trascendono la dimensione più immediata e colloquiale per diventare uno strumento di esplorazione filosofica e metafisica. Isabella De Carlo sembra usarli come spazi di sospensione della realtà, dove il linguaggio si fa denso di significati simbolici e lo scambio verbale diventa una mappa per orientarsi nei meandri dell’anima. È in questi momenti che il romanzo tocca le sue vette più alte, trasformando i confronti in esercizi intellettuali e spirituali. Nel dialogo con lo psicanalista, ci addentriamo in un terreno fatto di interrogativi che provano a scandagliare il significato dell’esistenza, il rapporto tra l’individuo e il trascendente, il peso della libertà nel definire sé stessi. I loro scambi, spesso punteggiati da citazioni letterarie e filosofiche, assumono una qualità quasi teatrale, in cui le voci dei personaggi si intrecciano in una danza che lascia sfumare i confini tra il pensiero razionale e quello poetico. Ogni parola pronunciata è un tentativo di dare senso al caos, un’ancora da gettare nel mare dell’incertezza. Così, nel silenzio che segue ogni scambio, il lettore è chiamato a riflettere, come Chiara, su ciò che rimane: le domande irrisolte, le possibilità inesplorate e quel tempo dell’attesa che si svela nella parola e oltre di essa. 
Isabella De Carlo prova a smascherare, attraverso i suoi personaggi femminili e la loro relazione con il maschile, le gabbie mentali e sociali dalle quali le donne fanno spesso fatica a scappare. Il peso delle aspettative, il giudizio morale e il senso del dovere si scontrano spesso con il desiderio di libertà, trasformandosi poi in ruolo sociali e limiti autoimposti dall’interiorizzazione di certe norme culturali. Nel suo percorso di rinascita, Chiara si troverà a stringere tra le mani la chiave che può permetterle di liberarsi da queste gabbie, finalmente consapevole dei limiti che non solo la società, ma lei stessa, si è imposta. Il romanzo si inserisce, così, in un contesto che richiama le lotte contemporanee per l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione. Nel suo dipinto del femminile, De Carlo non può prescindere dalla potenza simbolica della gestazione e del parto: si tratta di un processo di creazione, perdita e rinascita, immagine archetipica che riflette il rapporto tra l’individuo e il tempo, tra il sé e l’altro, tra la vita e la morte. La gestazione è anche specchio del processo interiore di Chiara, un tempo di elaborazione e crescita che culmina nella possibilità di un nuovo inizio, mentre il parto rappresenta un momento di rottura e di emancipazione, spesso accompagnato da un dolore necessario per il cambiamento. 
L’attenzione dell’autrice ai dettagli è quasi sacrale: ogni frammento descritto si carica di un significato che va oltre la superficie per diventare un riflesso delle dinamiche psicologiche e delle tensioni emotive che percorrono il romanzo. La preziosità dei dettagli in "Donne in attesa" risiede nella loro capacità di trasformare lo sguardo: ciò che inizialmente imprigiona può diventare una via di fuga, un mezzo per scrutare la realtà con occhi nuovi. In un’epoca in cui l’attenzione è spesso superficiale e distratta, uno sguardo attento e consapevole è capace di cogliere il potenziale nascosto in ogni frammento di realtà. Imparare a guardare davvero sarà per Chiara la sfida più grande, per riconoscere nei dettagli una mappa per uscire dalle sue gabbie e abbracciare una vita pronta a ricominciare. 
Con "Donne in attesa", Isabella De Carlo ci invita a sostare, a immergerci nel silenzio fecondo del non ancora, dove ogni ferita può rimarginarsi, pur lasciando sul nostro corpo una cicatrice che ci ricorda da dove siamo partiti. È un percorso intimo e personale che parla a ognuno di noi: possiamo essere prigionieri delle nostre gabbie, o imparare a trasformarle in occasioni per una nuova, autentica libertà: sta a noi scegliere. 

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