Cultura della legalità - Fiammetta Borsellino: "La mia famiglia si sente tradita dallo Stato: troppi depistaggi e insabbiamenti hanno celato la verità sull'eccidio di via D'Amelio"
(Arv) Venezia 30 gen. 2018 - Si è tenuto oggi, a palazzo Ferro Fini, sede del Consiglio regionale del Veneto, l’incontro - testimonianza, promosso in collaborazione con l'Osservatorio per il contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa, con Fiammetta Borsellino in occasione della chiusura della mostra fotografica 'L'eredità di Falcone e Borsellino'.Il Presidente del Consiglio regionale del Veneto Roberto Ciambetti ha introdotto i lavori e ha salutato tutte le autorità presenti, “a iniziare dal Procuratore generale della Repubblica, dottor Bruno Cherchi, al Generale di divisione Antonino Maggiore, comandante della Guardia di Finanza del Veneto, dal Comandante della Legione dei Carabinieri del Veneto, generale di brigata Giuseppe La Gala, il Prefetto di Venezia, dottor Carlo Boffi, fino ai rappresentanti di ANCI Veneto e dell’Ufficio Scolastico regionale, oltre ai consiglieri regionali e ai membri dell’Osservatorio per il contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa e la promozione della trasparenza. Un ringraziamento speciale a Fiammetta Borsellino per l’onore che ci ha fatto nell’essere oggi con noi”.“Sono convinto – esordisce Ciambetti - che il vero modo che abbiamo per assolvere al nostro ruolo e onorare quanti sono morti nell’assolvimento del loro dovere difendendo la Repubblica e i suoi valori nella difficile lotta alla mafia e alle organizzazioni criminali di stampo mafioso, è fare nostro l’appello lanciato sabato scorso dal Procuratore nazionale antimafia che da Reggio Calabria disse testualmente: ‘Nei confronti della criminalità organizzata la politica deve assumere il medesimo atteggiamento scelto dalla Chiesa, con la scomunica dei mafiosi. Dire cioè, a chiare lettere, a chi si avvicina per offrire voti e protezione: Voi siete esclusi dalle nostre scelte’. In altre parole, dobbiamo dire no alla mafia e attivare gli anticorpi democratici, rifiutando i suoi voti nelle prossime elezioni e diffondendo, soprattutto tra i più giovani, quella cultura della legalità che è il primo argine con cui una società sana risponde alla criminalità organizzata”.“Il Veneto – sottolinea il Presidente del Consiglio - non è di certo immune dalle infiltrazioni mafiose, a maggior ragione oggi in prossimità delle scadenze elettorali: ce lo spiegò proprio Paolo Borsellino, la mattina del 19 luglio 1992 a poche ore dall’attentato che gli sarebbe costato la vita. In quella mattina, Paolo Borsellino scrisse una lettera di risposta agli studenti del Liceo Alvise Cornaro di Padova. Da quella lettera, un vero e proprio testamento morale ed etico, cito un passaggio chiave, su cui noi tutti dobbiamo riflettere. Scriveva Borsellino ai giovani padovani: ‘Il conflitto inevitabile con lo Stato, con cui Cosa Nostra è in sostanziale concorrenza (hanno lo stesso territorio e si attribuiscono le stesse funzioni) è risolto condizionando lo Stato dall’interno, cioè con le infiltrazioni negli organi pubblici’. Parole, queste, di una attualità straordinaria che vanno lette e rilette, meditate aggiungendovi la nota riflessione di Giovanni Falcone per il quale: ‘la mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine”.“Non ci sono dubbi sulla scelta di campo – conclude Roberto Ciambetti - la mafia uccide, uccide la democrazia, l’economia, inquina e ammorba la società, lacera i rapporti sociali. Ma anche il silenzio, il non voler vedere, il far finta di nulla, uccidono: l’indifferenza uccide. E’ la ‘banalità del male’. Fiammetta Borsellino è una di quelle voci che rompono il silenzio, lo fa in nome del padre, lo fa in nome di Giovanni Falcone, lo fa in nome della democrazia: la mafia ha paura delle voci libere, ha paura di quella cultura che è la prima arma con cui si può affrancare e difendere il debole. Possa il Consiglio regionale del Veneto essere megafono della battaglia di libertà, democrazia e giustizia che uomini come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone ci lasciarono in eredità. Nella lotta alla mafia dobbiamo far emergere la verità, non nasconderla sotto il tappeto dell’ipocrisia, altrimenti facciamo del male allo Stato e a noi stessi”. Fiammetta Borsellino: “Mi piace innanzitutto ricordare un uomo e un padre meraviglioso, sempre presente, arguto, Paolo Borsellino, di cui voglio conservare un ricordo intimo e riservato. Ma voglio rammentare anche il giudice Paolo, proprio attraverso le parole che egli ha dedicato ai giovani – forse le frasi più belle e ricche di significati perché lui amava i ragazzi – che oggi devono costituire un monito per ciascuno di noi. La lotta alla mafia prima di tutto è un movimento morale e culturale che deve abituare tutti a sentire il profumo della libertà, in opposizione al puzzo, al marciume delle infiltrazioni mafiose. Mafia e politica rappresentano due poteri che agiscono per il controllo dello stesso territorio e, pertanto, o si fanno la guerra oppure scendono a compromessi. I libri, non le pistole servono per combattere la mafia, non dobbiamo ricorrere alle conoscenze giuste ma possedere la giusta conoscenza che solo la scuola ci può dare. Siamo invitati a fornire esempi concreti e a porre in essere azioni visibili per realizzare e onorare gli ideali perseguiti da mio padre, promuovendo la legalità, i principi di buona amministrazione e di non complicità con le organizzazioni malavitose. Ogni sera, prima di andare a letto, siamo chiamati a fare un onesto esame di coscienza se ci siamo meritati o meno lo stipendio…”.“Dobbiamo liberarci delle catene dell’omertà – prosegue la figlia del giudice Borsellino – perché lo Stato non è un nemico da evitare. I mafiosi si nascondono non solo nelle organizzazioni criminali ma anche nelle Istituzioni democratiche, e mi riferisco ai numerosi collusi. La morte di mio padre ha innescato indubbiamente un processo di rivoluzione culturale e morale, soprattutto nelle giovani generazioni, che Paolo Borsellino ha sempre sostenuto essere l’unico mezzo per contrastare il diffondersi della cultura mafiosa, ma non dobbiamo abbandonarci a reazioni solo istintive ed emotive, ma assumere un atteggiamento critico per non abbassare mai la guardia su determinate tematiche come la lotta alla criminalità organizzata”.“Mio padre – ricorda Fiammetta Borsellino - ci ha lasciato una eredità importante: l’amore, il rispetto e il senso delle istituzioni e proprio sotto questo aspetto la mia famiglia si sente tradita dallo Stato per avervi riposto fiducia e speranze senza tuttavia ricevere in cambio la verità, dopo più di venticinque anni da quel barbaro eccidio di via D’Amelio. La verità, anzi, è stata disattesa perché le vicende processuali sono state compromesse da troppi depistaggi che hanno impedito di fare completa luce sui fatti, per colpa della disonestà di chi questa verità era chiamato a ricercarla. In tutti questi anni abbiamo ascoltato troppe frasi retoriche e assistito a pompose celebrazioni, ma soprattutto a innumerevoli depistaggi e gravi anomalie nel corso delle indagini. Mi riferisco ai processi Borsellino 1 e Borsellino bis, celebrati tra il 1994 e il 1997, in anni cruciali che nella maggior parte dei casi risultano essere decisivi per il buon esito di qualsiasi indagine di polizia. E il ‘Borsellino Quater’, che si è concluso lo scorso mese di aprile, anche se le motivazioni non sono ancora state depositate, ha visto troppi ‘non ricordo’, troppi silenzi, troppe risposte evasive per celare l’emergere di verità inquietanti, con ben nove sentenze di assoluzione ad altrettante condanne all’ergastolo di persone in realtà innocenti che hanno scontato 17 anni di ingiusta detenzione perché si è dato credito a falsi pentiti, costruiti artificiosamente tra lusinghe e calunnie. Il falso pentito Vincenzo Scarano è stato spinto al reato di calunnia, manovrato sapientemente da coloro che erano chiamati a gestirlo, ovvero poliziotti e magistrati. Mi auguro che le motivazioni ora potranno chiarire finalmente ruoli e responsabilità di ciascuno dei soggetti coinvolti”. “Ma voglio chiudere con un raggio di speranza – conclude Fiammetta Borsellino - ovvero con una frase tratta da ‘Castelli di rabbia’ di Alessandro Baricco: ‘Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde…’”.