(Arv) Venezia 25 gen. 2023 – La memoria davanti ad un bivio: ridurre lo sterminio di milioni di ebrei ad una riga nei libri di storia o guardare in faccia ciò che è accaduto anche a casa nostra, nelle nostre comunità? È attorno a questo interrogativo che si è sviluppata oggi in Consiglio regionale la riflessione sulla Giornata della Memoria, edizione 2023. La commissione Cultura del Consiglio veneto, in attuazione della legge regionale del 2020 che, unica in Italia, impegna le massime istituzioni regionali a promuovere conoscenza e consapevolezza della Shoà, ha invitato i rappresentanti delle comunità ebraiche del Veneto, alcuni studiosi, i ragazzi della Consulta regionale e due discendenti di una testimone diretta per fare il punto sulle iniziative di educazione e di ricerca storica promosse nelle scuole e per un confronto a tutto campo sul tema “L’indicibile della Shoa e il dovere civile di conoscere e far conoscere, un ossimoro?”.
“L’era dei testimoni viventi sta volgendo al termine, i ragazzi di oggi devono avere la consapevolezza di un grande compito, quello della testimonianza. Ma potranno testimoniare solo se c’è conoscenza e apprendimento, se si fa la fatica di prendere possesso, cioè consapevolezza, di ciò che è stato. Ricordare la Shoà non è ricordo mnemonico, richiede fatica, energia e impegno”, ha premesso la presidente della commissione Cultura, Francesca Scatto, introducendo nell’aula di palazzo Ferro Fini la mattinata di approfondimenti e testimonianze.
Dopo la lettura del messaggio di saluto del presidente della Regione Zaia, l’assessore alla cultura Cristiano Corazzari ha fatto il punto su tre anni di attuazione della legge veneta sulla Shoà: 21 progetti finanziati in tre anni, con contributi regionali in crescita dai 65 mila euro del 2020 agli 80 mila dello scorso anno, che hanno portato scolaresche e associazioni a vivere percorsi nei luoghi della deportazione e dello sterminio, a conoscere le storie di vita fissate dalle pietre di inciampo, a comprendere la cultura, la cucina e le tradizioni ebraiche. Una cultura presente nella storia d’Italia da oltre 2200 anni e di cui – ha spiegato il rabbino capo della comunità di Venezia, Alberto Sermoneta - si è voluto negare l’appartenenza alla storia italica, inventando il falso concetto di ‘razza ebraica’. “A 85 anni dalle leggi razziali e a 80 dalle deportazioni e sterminio di massa – ha detto Sermoneta, rivolto ai rappresentanti della Consulta regionale dei ragazzi – purtroppo il virus dell’antisemitismo c’è ancora, e non c’è vaccino che l’abbia debellato. L’unico antidoto è la conoscenza della storia”. Un monito ripetuto dal rabbino capo della comunità di Verona Tomer Corinaldi, che ha rivolto una preghiera in ebraico alle anime dei morti, e dal rabbino capo della comunità ebraica di Padova, Adolfo Locci: “Dopo l’’era dei testimoni’ -ha avvertito Locci - ora è il tempo della storia, che utilizza documenti e testimonianze non per emozionare, ma per far conoscere, senza approssimazioni, un evento senza precedenti, diventato pilastro della concezione etica e politica del passato”. “Scompaiono i testimoni, ma contemporaneamente vengono meno anche gli artefici – è stata la riflessione di Gina Cavalieri, vicepresidente della Comunità ebraica di Padova e presidente della Fondazione per il Museo della Padova ebraica – e questo può liberare il campo alla consapevolezza storica. Siamo di fronte al bivio tra oblìo per assuefazione o il coraggio di guardare in faccia la vergogna delle persecuzioni antiebraiche, indicibili per chi le ha subìte ma anche per le ha attuate. Per questo come comunità ebraica continuiamo a promuovere i viaggi della memoria tra gli studenti delle scuole superiori di Padova, affidando ad ogni delegazione in partenza una pietra di inciampo, cioè la storia di vita di una persona che non ha più fatto ritorno”.
“Il Veneto è una regione che ha una sua specificità in questa storia – è stata la lezione di Antonio Spinelli, docente di storia presso l’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Vicenza e presso l’Università Cà Foscari di Venezia – perché per motivi geografici è stato il più grande luogo di concentramento degli ebrei stranieri in Italia, fermati ed espulsi già dal 1938, con le leggi razziali, e costretti a rientrare nei paesi di provenienza che già stavano attuando lo sterminio. Dai campi di concentramento di Tonezza (presso l’attuale istituto alberghiero), di Vo’ Vecchio (Villa Contarini Venier) e dagli altri cento campi di concentramento disseminati nelle sette province venete ben 1400 ebrei stranieri internati, molti dei quali professionisti e studenti che avevano cercato un futuro nell’ambiente universitario di Padova, sono stati avviati ai carri piombati che li hanno portati a morte nella Risiera di San Sabba e nei campi di sterminio d’Oltralpe”. Una pagina di storia nascosta e dimenticata, che avvenne nell’indifferenza dei più. Non mancarono scelte coraggiose, come quelle dei 57 ‘giusti’ riconosciuti in Veneto per aver salvato 128 persone – ha ricordato Spinelli - o la partecipazione attiva degli ebrei stranieri alla lotta di liberazione nella Resistenza.
“La storia deve diventare esperienza, azione anche faticosa di apprendimento, per non scivolare negli stereotipi della Giornata della Memoria”: questo il contributo di Davide Romanin Jacur, assessore dell’Unione delle Comunità ebraiche d’Italia e’anima’ dei viaggi della memoria che il Comune di Padova organizza per circa 200 studenti di scuola superiore ogni anno: 1500 chilometri di viaggio in bus, 5 giorni di aula viaggiante, per spiegare e far vivere ai più giovani la complessità di una ‘macchina’ di segregazione e annientamento. “Dobbiamo dare strumenti di comprensione ai giovani – ha spiegato Romanin Jacur – Quasi nessuno sa, ad esempio, che le leggi razziali furono 14, declinate in oltre 400 dispositivi applicativi che impegnarono a pieno l’amministrazione del Paese per un numero esiguo di persone: gli ebrei in Italia rappresentavano appena il 3 per mille della popolazione”. Infine Giorgio e Rachele Cicogna, rispettivamente figlio e nipote di Lala Lubelska, ebrea polacca sopravvissuta al ghetto di Lodz, e ai lager Auschwitz, Flossemburg e Mauthausen, hanno fatto rivivere la storia di speranza della mamma (e nonna) che si salvò grazie all’aiuto e all’amore di Giancarlo Cicogna, soldato veneziano prigioniero per non aver aderito alla repubblica di Salò. I due si sposarono a Badia Polesine nel maggio del 1947, Lala portò in dote il suo coraggio, la sua voglia di vivere e la consapevolezza di essere una testimone. Fino agli ultimi giorni di vita ha continuato ad incontrare ragazzi e scolaresche e non mancava di iniziare la sua testimonianza dicendo: “Vi racconto la mia storia purchè il tema sia la bellezza della vita”.
Al termine della seduta speciale dedicata alla Giornata della Memoria, nel corso della quale sono intervenuti anche i rappresentati della Consulta regionale dei ragazzi accompagnati da Antonio Bonamin dell’associazione ‘Amici del villaggio’, hanno preso la parola anche i capigruppo consiliari, Alberto Villanova dell’intergruppo Lega-Liga veneta, Enoch Soranzo di Fratelli d’Italia, e Giacomo Possamai del Partito Democratico.
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