(ANSA) - BARI, 20 NOV - A Lecce e in alcuni comuni della provincia la polizia e la guardia di finanza hanno notificato 35 misure cautelari nell'ambito di in una vasta operazione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia nei confronti di persone accusate, a vario titolo, di traffico di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti, riciclaggio, autoriciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, trasferimento fraudolento di valori, emissione di fatture per operazioni inesistenti. Delle 35 ordinanze cautelari, dieci sono state notificate in carcere. Due persone sono finite ai domiciliari.
Il gruppo criminale sgominato oggi da polizia e guardia di finanza, era composto da due associazioni. Secondo gli inquirenti una sarebbe stata guidata da Antonio Marco Penza, 41 anni di Lecce, detenuto a Palermo; e Gianluca Calabrese, 37 anni di Copertino; l’altra da Cristian Roi, 42 anni di Copertino; e Santo Gagliardi, 59 anni di Lecce, entrambi detenuti. Le associazioni movimentavano centinaia di migliaia di euro in contanti, sviluppando non solo un'egemonia territoriale nel traffico degli stupefacenti ma anche un progressivo dominio sotto il profilo economico-finanziario attraverso l'acquisizione nel tempo di una serie di locali pubblici (pub e ristoranti) ed alcuni esercizi commerciali nel territorio salentino, con la connivenza e fattiva collaborazione di un noto commercialista salentino.
Una pluralità di imprese, sotto forma di cooperative - evidenziano gli investigatori - risultavano formalmente affidate a soci e/o a soggetti prestanome ma in realtà erano asservite agli scopi del gruppo criminale per reinvestire il denaro di provenienza illecita (anche all'estero), e per garantire ai familiari degli associati assunzioni e retribuzioni, per legittimare la provenienza (di facciata) dei guadagni. Ma in realtà nessuna attività lavorativa è stata riscontrata nel corso delle indagini. In particolare, alle cooperative giungevano, per mano degli affiliati, somme di denaro contante di volta in volta versate sui rispettivi conti correnti societari (anche per diverse decine di migliaia di euro) con cui pagare gli stipendi (anche pari a 2.500 euro al mese) a mogli o parenti diretti dei detenuti e per il sostentamento di questi ultimi in carcere. Somme di denaro contante venivano anche elargite ad altre imprese compiacenti che, poi, provvedevano ad acquistare autovetture di lusso date in uso (di fatto) agli stessi pregiudicati oppure ai loro familiari. Il commercialista leccese arrestato provvedeva ad amministrare gli interessi economico-finanziari in prima persona, o attraverso teste di legno, per trasferire all'estero ingenti somme di denaro con bonifici in partenza dalle solite società cooperative compiacenti, eludendo le normali procedure di controllo in materia antiriciclaggio.