Sardegna

All'ergastolo ostativo muore in ospedale

Mario Trudu aveva da poco ottenuto il differimento della pena

Redazione Ansa

di Fabrizio Fois

L'ergastolo ostativo per lui era diventato un "fine pena mai". In cella dal 1979 - 40 anni interrotti solo da 10 mesi di latitanza tra il giugno 1986 e l'aprile 1987 - Mario Trudu, 69 anni di Arzana (Nuoro), condannato per due sequestri dell'Anonima a cavallo tra gli anni '70 e '80, non ha mai usufruito di permessi speciali o sconti di pena. Tranne uno: il 10 gennaio scorso aveva potuto partecipare al funerale del cognato. Poi il 3 ottobre è uscito dal carcere oristanese di Massama per un temporaneo differimento della pena, con detenzione domiciliare, per due gravi malattie. Il 5 novembre prossimo era fissata l'udienza per la decisione finale sull'istanza presentata dall'avvocata Monica Murru, ma Trudu non ce l'ha fatta. E' morto in ospedale a Oristano.

Fuori da quella cella dalla quale, quando ancora non si discuteva di riforma del carcere "duro" ma solo della vicenda di Cesare Battisti subito dopo il suo arresto, aveva lanciato una provocazione: "meglio morire che una vita qui dentro". Oggi, anche dopo il pronunciamento della Corte Europea dei diritti dell'Uomo e la parziale riforma della Consulta, il dibattito sull'ergastolo ostativo è acceso. Tanto che il presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi, replica ai commenti del leader della Lega Matteo Salvini definendo quelle critiche "un'aggressione inaccettabile". Una discussione che si intreccia con la vicenda umana di Trudu, condannato per il rapimento di Giancarlo Bussi, il tecnico della Ferrari prelevato nel 1978 a Villasimius e mai tornato a casa, e dell'industriale bolognese Eugenio Gazzotti portato via dall'Anonima nell'aprile del 1987. E raccontata in un libro del 2015 nel quale attaccava: "anche io sono sequestrato e senza alcuna prospettiva di uscirne vivo".

Ora la sua avvocata, che ha portato avanti la battaglia per le cure fuori dal carcere, ammonisce: "Il caso Mario Trudu resterà nella memoria di tanti non solo perché la sua scomparsa è avvenuta nello stesso giorno in cui la Cedu e la Consulta hanno riconosciuto l'incostituzionalità di una pena senza alcuna possibilità di recupero umano e sociale ma anche perché fa riflettere sul ruolo del carcere e della sanità penitenziaria. La sua morte è il risultato di una condizione di salute divenuta sempre più critica presumibilmente per i ritardi nelle cure".

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