(ANSA) - ROMA, 7 APR - Una lettera che racconta la fede rinnovata, la speranza che può nascere tra le sbarre di un carcere. A firmarla è Totò Cuffaro, "detenuto nel carcere di Rebibbia", come lui stesso si firma, dopo l'incontro con Papa Francesco.
Cuffaro parla di una fede rinnovata nelle mura del penitenziario romano, dove Papa Francesco il 2 aprile ha celebrato il rito della lavanda dei piedi. "Dentro il deserto del carcere, poveri in mezzo ai poveri e tutti nella miseria, abbiamo sperato ancora". L'ex governatore della regione Sicilia, condannato a sette anni per favoreggiamento aggravato alla mafia, ricorda come avesse cercato anche nel passato un cammino con Cristo ma "l'incontro che veramente ce lo ha fatto conoscere è accaduto qua dentro". In un luogo che "tenta di far scomparire l'uomo Lui ci ha svelato la sua dimensione essenziale". Per Cuffaro "è disumano voler annullare l'uomo", e per questo "vogliamo gridare ancora più forte, vogliamo riuscire a gridare al posto di chi qua dentro non ha la capacità o la forza di gridare nonostante soffra molto". Sulla cerimonia del Giovedì santo racconta: "La voce del Papa era stanca e addolorata ma era 'la voce buona', noi detenuti l'abbiamo riconosciuta subito. Lui era Cristo.
Grazie, Francesco".
Tarquinio commenta in prima pagina il "capovolgimento" di quest'uomo che "considera la propria vita e le proprie scelte, e non si giustifica orgogliosamente né si autoassolve". Un capovolgimento "per tanti forse inimmaginabile, per qualcuno probabilmente incredibile, per altri ancora semplicemente inconcepibile e inaccettabile", e invece per un cristiano si tratta di "un cambiamento possibile".(ANSA).
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