"Era lui alla guida": il siriano Bikhit Mahmud, uno dei due presunti scafisti fermati dalla procura di Catania per il naufragio di sabato scorso, scarica tutte le colpe su quello che i testimoni hanno indicato come il comandante del peschereccio, il tunisino Mohamed Alì Malek. Sentito in carcere dai pm, il siriano si è tirato fuori da ogni responsabilità, diventando di fatto un ulteriore accusatore del tunisino già indicato da almeno cinque testimoni: "io non c'entro niente - ha ribadito ai magistrati - c'era lui al timone quando il barcone è andato a sbattere contro il mercantile". Accuse che Malek ha tentato di smontare, sostenendo che vi fosse un'altra persona alla guida che però sarebbe morta nel naufragio: spiegazioni che però cozzano con i racconti dei sopravvissuti. "Io ho pagato per viaggiare, ero un passeggero e non ero alla guida". Il tunisino ha però confermato che si sono state tre collisioni con il mercantile King Jacob prima che il barcone si capovolgesse. Secondo il suo avvocato, Massimo Ferrante, l'uomo avrebbe inoltre sottolineato di non ricordare con precisione quel che è avvenuto nei momenti precedenti il disastro. "Era notte, il barcone era al buio, c'era tanta concitazione e le persone volevano salire a bordo del mercantile. C'è stato probabilmente un errore umano". Versione alla quale la procura non crede. Tanto da contestare al tunisino anche il sequestro di persona aggravato dalla presenza di minori oltre a quelle di omicidio colposo plurimo, naufragio e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. E probabilmente non è finita qui: il procuratore di Catania Giovanni Salvi, al termine dell'interrogatorio dei due, ha sostenuto che dalle testimonianze finora raccolte "sta emergendo un quadro molto grave della situazione prima dell'imbarco: violenze, percosse e trattamento inumano" riservato ai migranti. "Se non fossimo saliti a bordo - ha detto tra l'altro agli investigatori uno de sopravvissuti - i trafficanti ci avrebbero ucciso. Per molti di noi era la prima volta che vedevamo il mare e per questo avevamo il terrore di andare avanti". Ma nessuno ha potuto cambiare idea: "ci picchiavano con dei bastoni sulla testa e sulle mani". Le accuse nei confronti di Malek, e del siriano, dovranno ora essere 'cristallizzate' nell'incidente probatorio in programma venerdì mattina, quando i magistrati porteranno in aula la testimonianza di cinque adulti e due minori, due somali di 16 e 17 anni, che sono stati ascoltati oggi dalla polizia per diverse ore. E anche loro hanno confermato la versione fornita dai loro compagni di viaggio più grandi. Ci sarà invece domani pomeriggio l'interrogatorio di garanzia davanti al Gip, che dovrà decidere se convalidare o meno il fermo dei due. Tutte le testimonianze raccolte finora, in ogni caso, sono concordi sul fatto che il comandante ha sbagliato la manovra di avvicinamento al mercantile. "Prima di affondare - ha raccontato uno dei testimoni, aggiungendo un particolare che fino ad oggi non era emerso - il barcone ha sbattuto tre volte contro il mercantile che era venuto a soccorrerci. Dopo la collisione siamo finiti tutti in mare, io sono rimasto in acqua mezz'ora e mi sono salvato perché so nuotare, ma tanti altri sono annegati". Sul ponte c'erano tra le 30 e le 55 persone: significa che di quelli che erano ai livelli inferiori del peschereccio, non solo non si è salvato nessuno ma neanche sono stati recuperati i corpi. Centinaia di migranti che hanno subito violenze e che hanno avuto una morte orrenda. Botte, minacce, soprusi che raccontano pure i volti dei migranti arrivati anche oggi, perché gli sbarchi non si sono affatto fermati nonostante la notizia della strage abbia fatto il giro del mondo e sia arrivata anche sulle spiagge libiche, da dove partono quasi tutti i barconi carichi di disperati. 220 persone le ha soccorse la guardia di Finanza, a 30 miglia da Tripoli: erano partite ieri sera, stipate come sempre su due gommoni di 14 metri, carichi di taniche di benzina e arriveranno domani a Catania. A Salerno sono invece sbarcati 540 profughi soccorsi nei giorni scorsi da nave Chimera della Marina, soprattutto somali ed eritrei, mentre ad Augusta sono arrivati in 446 con nave Bettiga. Oltre un migliaio di uomini, donne e bambini, tanti bambini, scalzi e denutriti, provati dalla fatica del viaggio e dai soprusi subiti nei mesi passati nel deserto o in Libia ma con una luce diversa negli occhi: quella di chi ha la consapevolezza di avere una nuova speranza.
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