(di Francesco Terracina)
(ANSA) - PALERMO, 22 MAG - Prima che diventasse un metodo, il
lavoro del pool antimafia di Palermo dovette fare i conti con
gli scettici. Il gruppo messo su da Rocco Chinnici, ucciso
nell'83, e poi guidato da Antonino Caponnetto fino all'88, venne
persino additato di fare "turismo giudiziario", che consisteva
nel seguire da vicino le indagini, andare nei luoghi dove
portavano gli elementi man mano acquisiti.
Questo nuovo modo di operare ha dato credibilità al pool e ha
portato a notevoli risultati".
Una "rivoluzione" che si sarebbe potuta fare anche prima, se la
mafia non fosse stata considerata "un fenomeno oscuro - aggiunge
Di Lello - e impenetrabile. Invece, siamo entrati nelle banche,
che Cosa nostra riteneva dei santuari impenetrabili; nelle
Camere di commercio, esaminando gli intrecci societari".
Quel gruppo di pionieri istruì il primo maxi processo che
nell'86 portò alla sbarra 475 imputati. "Lo Stato ci diede una
mano - spiega Di Lello - trasferendo a Palermo investigatori di
primo livello, alcuni dei quali sacrificarono la loro vita. Il
nostro lavoro fu preceduto dalle intuizioni di magistrati
impareggiabili, come Cesare Terranova e Gaetano Costa".
Nel novembre 1985 (in coincidenza con il deposito dell'ordinanza
di rinvio a giudizio dei 475), all'ufficio istruzione arriva
Ignazio De Francisci, che allora aveva 33 anni. De Francisci era
legato all'"estroverso e gioviale" Paolo Borsellino, che un anno
dopo andò a dirigere la procura di Marsala.
"Rimasi con Falcone - dice - che aveva un carattere diverso,
era riservato, un po' timido. Prudente e realista, da lui
imparai moltissimo. Falcone e Borsellino si completavano
perfettamente e quelli sono stati gli anni più importanti della
mia ultraquarantennale carriera".
Quando nell'89, in piena stagione dei veleni, Falcone passò
alla procura (era appena entrato in vigore il nuovo Codice), De
Francisci, su suggerimento dell'amico, lo seguì: "Arrivai nel
febbraio '91, un mese prima che Giovanni si trasferisse a Roma,
nel pieno scontro tra lui e il procuratore Pietro Giammanco. Non
sapevo molto dei loro dissidi, ma il clima era incandescente.
Quando Falcone lasciò la procura, rimasi 'ostaggio' dei suoi
nemici: non avevo alcuna intenzione di riposizionarmi sulla
linea del capo".
De Francisci ricorda il documento firmato da otto sostituti e
inviato al Csm per chiedere la rimozione di Giammanco: "Questo
episodio viene spesso ignorato, ma fu un momento importante. Il
Consiglio superiore non decise alcun trasferimento, perché, dopo
la strage di via D'Amelio, Giammanco chiese di andare in
Cassazione".
De Francisci, da poco in pensione dopo l'incarico alla
procura generale di Bologna, ricorda l'ultimo incontro con
Borsellino: "Avvenne il giorno prima della sua morte. Era appena
tornato da Roma e venne in procura, in anticamera ci accennò a
quello che aveva appena saputo da Gaspare Mutolo e che avrebbe
dovuto verbalizzare". Non ci fu il tempo. (ANSA).
Falcone: quando gli scettici canzonavano il pool
Rivoluzionò indagini. Di Lello,accusati di 'turismo giudiziario'