Uccidere in nome di Dio è "un sacrilegio" e "nessuno pensi di poter farsi scudo di Dio mentre progetta e compie atti di violenza e di sopraffazione". E gli estremisti che stanno facendo della religione, in alcuni angoli del mondo, un'arma di scontro "travisano l'autentico senso religioso". Papa Francesco ha trascorso la domenica in Albania per premiare la convivenza pacifica tra le religioni, che in questo Paese è realtà, e per additare questo modello a tutto il mondo.
Francesco non cita i focolai di violenza che si estendono dall'Iraq alla Siria, non pronuncia quella sigla, Isis, che sta piegando migliaia di cristiani. Ma sembra per loro il messaggio quando, ricordando il sacrificio dei martiri albanesi durante la dittatura comunista, dice: "Quanti cristiani non si sono piegati davanti alle minacce ma hanno proseguito senza tentennamenti sulla strada intrapresa". E di fronte ai ricordi delle sofferenze vissute da un sopravvissuto, durante i quasi cinquant'anni di regime comunista, don Ernest Simoni, oggi 84 anni, il Papa si commuove fino alle lacrime.
Nell'affollata Cattedrale di Tirana, dove la chiesa albanese ha fatto memoria di quel sangue versato nel passato, chiede: "Come hanno fatto a sopportare tanta tribolazione?". Ora però il Paese ha fatto di quelle sofferenze del passato la base per una convivenza pacifica. Papa Francesco ne è convinto: l'esempio dell'Albania dimostra che "la pacifica e fruttuosa convivenza tra persone e comunità appartenenti a religioni diverse è non solo auspicabile, ma concretamente possibile e praticabile". D'altronde il "rispetto", parola che pronuncia più volte nei suoi sei discorsi in terra d'Albania, è "un bene inestimabile per la pace e per lo sviluppo armonioso di un popolo". E se questo è stato possibile nel Paese balcanico, che per quasi cinquant'anni di dittatura ha sofferto l'isolamento, la repressione e la persecuzione religiosa, deve essere possibile ovunque. Per questo, cuore di questa visita apostolica, undici ore fitte di incontri, è stato il momento interreligioso all'Università cattolica di Nostra Signora del Buon Consiglio. E qui il Papa ha avvertito: "Non si può dialogare se non si parte dalla propria identità". Diversamente è "relativismo". Il Papa però parla anche agli albanesi che lo hanno aspettato con gioia e accolto con grande calore. "Come le aquile - ha detto citando il simbolo dell'Albania - volate alto ma non dimenticate il nido. Non dimenticate le piaghe, le prove, ma andate avanti per un futuro grande".
Un domani affidato soprattutto alle nuove generazioni. E i giovani in Albania sono tanti. "Venendo dall'aeroporto a qua ho visto i giovani, ce n'erano tanti. Ma questo è un popolo giovane! E dove c'è giovinezza c'è speranza". Ma allo stesso tempo c'è il pericolo di farsi trascinare dalla secolarizzazione. "Sappiate dire no - dice a queste nuove generazioni dell'Albania che guardano all'Europa - all'idolatria del denaro, no alla falsa libertà individualista, no alle dipendenze e alla violenza". E allora torna a parlare dei temi economici, a lui cari, chiedendo che "alla globalizzazione dei mercati corrisponda una globalizzazione della solidarietà". Alla fine della giornata il momento più delicato, quello con i bambini orfani, disabili, in difficoltà assistiti dal Centro Betania di Bupq Fushe Kruje, ad una trentina di chilometri dalla capitale. Il messaggio però, ancora una volta, è soprattutto per i giovani,che qui fanno un prezioso volontariato: "Il bene paga infinitamente più del denaro, che invece delude".
Leggi l'articolo completo su ANSA.it