Per ottenere il cambio di sesso all'anagrafe non è obbligatorio l'intervento di adeguamento degli organi sessuali: lo ha stabilito la Cassazione, che ha accolto il ricorso di Rete Lenford sul caso di una persona trans che, dopo essere stata autorizzata all'intervento chirurgico, aveva poi rinunciato al'operazione ma esigeva comunque di cambiare sesso all'anagrafe.
Sia il tribunale di Piacenza che la corte d'appello di Bologna, a cui la persona si era rivolta per ottenere la rettificazione dello stato civile in assenza dell'intervento chirurgico, avevano respinto la richiesta, spiega Rete Lenford che definisce "storica" la sentenza della prima sezione della Corte di Cassazione, depositata oggi.
Lo Giudice, storica sentenza su cambio di sesso - "La sentenza della Cassazione che riconosce la possibilità di cambio di sesso anagrafico senza operazione chirurgica è un pronunciamento storico. Si rende così giustizia a quelle tante persone transessuali per cui l'intervento chirurgico sui genitali rappresenta non una necessità personale ma un obbligo imposto da una cattiva interpretazione della legge 164 del 1982". Così il senatore Pd Sergio Lo Giudice commenta la sentenza della prima sezione della Corte di Cassazione che, decidendo su un ricorso degli avvocati di Rete Lenford - Avvocatura per i diritti LGBTI, ha stabilito che la riattribuzione anagrafica del sesso può avvenire anche in mancanza dell'intervento di demolizione chirurgica. "Avevo depositato già nel giugno 2013, il disegno di legge 405 "Norme in materia di modificazione dell'attribuzione di sesso" che chiedeva soprattutto due cose: il superamento dell'imposizione del divorzio nel caso del cambio di sesso di un coniuge e la fine di queste mutilazioni chirurgiche forzate, peraltro non espressamente previste dalla legge 164 e condannate di recente, fra l'altro, dalla Risoluzione Lunacek del Parlamento Europeo". "In entrambi i casi - prosegue Lo Giudice - sono arrivate prima le corti, prima la Consulta con la sentenza 170/2014, oggi la Cassazione, mentre il mio ddl non ha neanche iniziato il percorso in commissione. L'inerzia del Parlamento sui diritti civili sta trasformando l'Italia in un paese di common law: le regole sul riconoscimento dei diritti le definiscono i tribunali, mentre il Parlamento assiste muto e inerte all'ennesimo smacco per la politica nazionale".